La Legge n°180/1978, nota come “Legge Basaglia” è un atto normativo che ha rivoluzionato per sempre la Salute Mentale in Italia.
Ma ancora oggi resta incompresa, tra paura della malattia e la gestione delle emergenze psichiatriche, non si è ancora giunti sia ad un nuovo modello mentale di approccio al recupero del paziente, sia ad un modello di prevenzione alla “recidiva”. Il fallimento di cui tanto di parla, quale effetto della Legge 180, non è nell’abolizione dei manicomi ma nella mancata comprensione del valore della prevenzione circa l’esordio dei sintomi. Il monitoraggio e la cura del paziente permette allo stesso e alla comunità di vivere e convivere serenamente. Questo modello, per diverse ragioni, non è attuato!
Vediamo in breve in cosa consista la Legge 180 del 13 maggio 1978, tutt’ora vigente titolata “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” .
E’ conosciuta come Legge Basaglia in quanto fu proprio Franco Basaglia, psichiatra triestino, a ripensare al sistema di trattamento del malato mentale e al sistema sanitario nazionale, in particolare dando luogo ad un nuovo modello di approccio alla Salute Mentale in Italia.
La Legge 180/78, innanzitutto, va ad abrogare la previgente normativa in materia: legge 36/190 detta “Legge Giolitti“, dal firmatario della norma, che titolava “Disposizioni sui Manicomi e sugli Alienati. Custodia e cura degli alienati”. Già in premessa è possibile comprendere quale fosse l’approccio al fenomeno della insanità mentale che definiva i malati come “alienati”, “folli”, “pazzi”, tutti appellativi con cui venivano definiti i malati, che tutto erano fuorché pazienti. In concreto venivano rinchiusi e nascosti alla società, ridotti all’obbedienza, perdendo ogni tipo di elemento identitario, a partire dal nome che veniva sostituito con un numero.
Basaglia inizia la sua riforma della psichiatria proprio restituendo i diritti a quegli uomini e a quelle donne, e con loro ai dipendenti dei manicomi che più che medici ed infermieri erano dei carcerieri, dei guardiani.
I passi della Riforma Basaglia.

Alla base della riforma non poteva che esserci il libero arbitrio: si sancisce con la legge 180/78 che tutti i trattamenti sanitari sono basati sulla volontarietà, proprio a sancire la discontinuità con il modello precedente, a cui farà eccezione il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), qualora sia strettamente necessario alla cura, solo ed esclusivamente per la compresenza di tre conditio sine qua non:
- Alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
- La non accettazione delle cure da parte dell’infermo;
- Assenza di condizioni e circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere.
E’ l’unico caso in cui la cura possa essere somministrata in condizioni di degenza ospedaliera e se non vi è alcuna altra possibilità che il ricovero. Infatti, l’ulteriore elemento innovativo, che rappresenta un punto di rottura con la normativa giolittiana, è proprio questo ricorso alla de-istituzionalizzazione del trattamento del malato all’interno di manicomi che più che essere deputati alla cura erano luoghi di contenimento e nascondimento dell’alienato. La fine degli Istituti Psichiatrici è decretato nell’articolo 6: “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi psichiatrici extra ospedalieri“. E da qui l’esigenza di riformare con la successiva Legge 833/78 il Sistema Sanitario Nazionale con cui si dà luogo alla creazione dei Centri di Salute Mentale (CSM) all’interno di Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) deputati all’accoglimento e cura dei malati psichici.
Questo fu il principio ispiratore di un grande medico psichiatra, Franco Basaglia, purtroppo però è ancora lunga la strada da percorrersi per giungere a completare efficacemente la procedura per il recupero, attraverso la cura, ed il monitoraggio nel tempo (non attuato) del malato. Ancora oggi, il modello vigente, non avulsa dal sostrato culturale di matrice manicomiale, relega il malato ad una difficoltà, ad un problema a cui far fronte in emergenza anziché indirizzare le risorse per un monitoraggio a lungo termine affinché il paziente non si sottragga alle cure per effetto del dimenticatoio sanitario. Nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale esiste la diatriba tra il mondo delle emergenze/urgenze del Pronto Soccorso che viene impiegato nei TSO e negli ASO, che lamenta una non competenza in questa attività che sarebbe invece appannaggio dei medici e paramedici del Centro di Salute Mentale, quest’ultimi che invece delegano le Polizie Locali a condurre le persone che sono “indiziate” di patologia mentale presso le loro sedi per accertarne lo stato di salute (ASO). A ben vedere, l’Art. 32 della Costituzione recita espressamente che
“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
E allora, perchè condurre con la forza una persona presso un Centro di Salute Mentale, quando Basaglia, nella sua importante riforma legislativa ha previsto che il paziente venga curato nel proprio ambiente di vita? Perchè il SSN non si preoccupa di evitare la coercizione sul malato, o presunto tale, organizzando che sia il personale medico a recarsi presso il paziente, anche in presenza della Polizia che vi presenzia per effetto dell’Ordinanza Sindacale di Accertamento Sanitario che il medico stesso ha richiesto?
Per buona pace di tutti, per i migliori risultati nel campo della cura della malattia mentale, non può non auspicarsi il proseguo del cambiamento di prospettiva attuato da Basaglia affinché i suoi stessi insegnamenti non rimangano inutili, o peggio ancora vengano ancora contestati quale autore dell’abolizione dei manicomi.