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Rave Party: una norma in fieri.

In questi giorni di fine dicembre, la Camera dei deputati si appresta ad esaminare il decreto legge n° 162 del 31/10/2022 per la conversione in legge. Nelle scorse settimane, tale provvedimento ha alimentato alcune polemiche tra giuristi, politici e giornalisti, soprattutto in relazione ad un tema disciplinato dal decreto in parola: il rave party. Ma andiamo con ordine e vediamo, in estrema sintesi, di che cosa stiamo parlando.
Il rave party è una manifestazione musicale, autogestita, a libera partecipazione, di solito tenuta in grandi aree industriali abbandonate o spazi aperti come boschi, cave, foreste, caratterizzata dal ritmo incalzante della musica, che può protrarsi per giorni. La parola “rave” deriva dal verbo inglese to rave, che significa “parlare con eccitazione, in maniera incontrollata, delirare, sragionare”, a sua volta derivante dal sostantivo inglese raven, corvo (il corvus corax o corvo imperiale è in grado di imitare la voce umana). Con la nascita della disco music, negli anni ’70 dello scorso secolo, il disc-jockey assume un ruolo di primo piano e, grazie allo sviluppo della tecnologia musicale, che vede l’impiego di campionatori, drum machine e sequencer, riesce anche a modificare le tracce della musica su cui danzare, gettando le basi della cosiddetta house music/musica elettronica.
In modo particolare, a Detroit inizia ad affermarsi la musica techno, non adatta agli spazi ridotti di un club o di una discoteca, che finì con l’esigere lo spostamento fuori città, alla ricerca di aree più ampie. Tuttavia, l’origine dei rave party va cercata anche nei free festival di fine anni ’60 (ricordate Woodstock?), manifestazioni informate da spirito hippy e pacifista, in cui si richiedeva la liberazione di corpo e mente mediante LSD e acid rock. (1) I rave party sono feste i cui partecipanti vogliono sentirsi liberi dalle gerarchie e dai limiti del sistema sociale, trasgredendo ordini e proibizioni, fino a sfuggire agli sguardi di media ed autorità, tanto che il passaparola è l’unico mezzo di pubblicizzazione ed invito a partecipare, oggi amplificato dalla diffusione dei social network. Protagonista della festa è la musica: tutto si accorda al suo ritmo crescente, fino a produrre persino uno stato alterato di coscienza, a volte rafforzato dall’uso di sostanze psicotrope che eliminano inibizioni e sensazione di fatica, visto che il raduno può proseguire per più giorni.
L’organizzazione delle feste in capannoni e fabbriche abbandonate obbedisce, oltre che a ragioni pratiche, anche a motivi ideologici, in polemica con il capitalismo ed il consumismo: l’occupazione di tali spazi è considerata una forma di riappropriazione di luoghi appartenuti al duro lavoro operaio, che diventano area di rivendicazione della libertà individuale, contestazione della proprietà privata e attacco alla forma di produzione commerciale della musica nelle discoteche; i ravers autoproducono musica (per cui non debbono pagare la SIAE) e microeconomia alternativa, compreso il baratto.

Sotto il profilo giuridico, i rave party sono riunioni aperte al pubblico o in luogo pubblico, fattispecie per le quali l’art. 18 T.U.L.P.S. prevede l’obbligo di avviso, tre giorni prima dell’evento, al Questore territorialmente competente.

In Europa, il fenomeno si diffuse a partire dall’Inghilterra, che nel 1992 iniziò a lavorare ad un decreto repressivo, approvato nel 1994 e conosciuto con il nome di Criminal Justice Act, che vieta ai partecipanti di riunirsi in numero superiore a dieci persone, su suolo pubblico, senza autorizzazione: l’illecito civile fu trasformato in reato anche per i partecipanti che non lascino il raduno dopo l’intervento delle forze dell’ordine ed è stato previsto il sequestro e la distruzione degli apparecchi fonici e vietata la vendita di alcoolici. In Francia, nel 2002, assistiamo all’emanazione della legge Mariani, che vieta l’organizzazione dei rave party senza l’autorizzazione dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, cui la manifestazione va dichiarata un mese prima dello svolgimento: la forza pubblica può intervenire se il raduno non è stato autorizzato e se presenta rischi eccezionali; i partecipanti non sono perseguibili e gli organizzatori possono incorrere nella pena dell’arresto fino a sei mesi + 4500 euro di ammenda ed eventuali sequestro e confisca delle attrezzature musicali. In Spagna e Germania le regole mutano in relazione alle autonomie locali, ma prevedono tutte autorizzazioni e, naturalmente, sanzioni per i reati eventualmente commessi all’interno del raduno.
Il Governo insediato dopo le scorse elezioni politiche del 25 settembre 2022, con l’art. 5 del decreto legge sopra citato, ha introdotto un nuovo articolo nel codice penale: all’inizio era stato stabilito l’inserimento dell’art. 434 bis tra i delitti contro l’incolumità pubblica, nel sesto titolo del libro secondo del codice penale; ma durante l’esame del decreto legge in Senato, per la conversione in legge, la fattispecie di reato sui rave party è stata spostata ad un nuovo articolo, il 633 bis, collocato tra i delitti contro il patrimonio; il nuovo articolo sanziona l’organizzazione di raduni musicali, connessi ad invasione di terreni ed edifici di proprietà, pubblica o privata, e quando tale invasione possa concretamente mettere in pericolo la salute o l’incolumità pubblica per l’inosservanza di norme su sicurezza ed igiene. Ai partecipanti, invece, sarà applicata la sanzione prevista dall’art. 633 c.p. (invasione di terreni ed edifici).

Ecco il testo dell’articolo del decreto legge sui rave party:

Art. 5 Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali

1. Dopo l’articolo 434 del codice penale è inserito il seguente: «Art. 434-bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica). – L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. E’ sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.».

2. All’articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), è aggiunta la seguente: «i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale.».

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. (2)

Non sono mancate voci critiche all’introduzione di questa norma. Una prima opinione evidenzia che il nostro codice penale prevede già le fattispecie che si intende regolare con l’art. 633 bis; e, precisamente: l’art. 633 (invasione di terreni ed edifici), l’art. 634 (turbativa violenta del possesso di cose immobili) e l’art. 637 (ingresso abusivo nel fondo altrui); pertanto, secondo i sostenitori di tale tesi, per i rave party si sarebbe potuto semplicemente introdurre un nuovo comma ai predetti articoli o aggravarne le pene o prevedere delle aggravanti.
Un’altra critica paventa la possibilità che la nuova norma sui rave party possa colpire le manifestazioni di piazza, le occupazioni studentesche, con il rischio della libertà di riunione, garantita dall’art. 17 Cost., ma tale evenienza appare alquanto improbabile, dal momento che la lettera dell’articolo è chiara e parla di invasione di terreni ed edifici al solo fine di realizzare un raduno musicale o altro intrattenimento, che possa mettere in pericolo la salute o l’incolumità pubblica. Inoltre, sappiamo che in materia penale è previsto il divieto di analogia, principio che impedirebbe l’estensione della disciplina de qua ad altre fattispecie, ancorché simili.
Non appare, tuttavia, infondato un rilievo mosso alla nuova norma, ossia che la stessa taccia sul momento dell’integrazione del reato: quando il raduno diventerebbe pericoloso? Se un raduno è previsto per meno di cinquanta persone, ma aumenta spontaneamente, per aggregazione libera ed estemporanea, gli organizzatori ed i partecipanti devono essere puniti? Il primo comma del nuovo articolo, inoltre, appare vago e tautologico e, pertanto, non sembrerebbe tipizzare la condotta penalmente rilevante. E’ in ragione di tali dubbi che chi li manifesta ritiene il nuovo reato privo di tassatività (corollario del principio di legalità sostanziale enunciato dall’art. 25 Cost. e dall’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). Inoltre, non mancano critiche al quantum della pena: da alcuni giudicata sproporzionata perché punisce più pesantemente chi organizza un raduno che chi si macchia di reati gravi ( lesioni personali, omicidio colposo e sequestro di persona, tanto per citare qualche esempio).
Peraltro, esiste un’altra questione, di fondo: la concreta fattispecie, l’occasio legis, che ha dato origine al decreto legge, è stato un rave party organizzato, e poi interrotto, a Modena, con uno sgombero avvenuto in maniera ordinata e pacifica. Sussistono i requisiti di necessità ed urgenza, relativamente alla materia in parola? Un approccio di questo tipo da parte dell’Esecutivo limita inevitabilmente il dibattito parlamentare, ma occorre anche riconoscere che il ricorso alla fonte decretizia per la produzione normativa è abbastanza frequente, nel nostro ordinamento, da decenni. Lasciamo al lettore lo spunto di riflessione in proposito.
La questione dei rave party merita una riflessione ed una risposta essenzialmente per due motivi: innanzitutto, perché tutte le altre manifestazioni necessitano di vari permessi ed autorizzazioni; in secondo luogo perché il rave può produrre disagi alla comunità: dal disturbo della quiete pubblica, alla cessione di stupefacenti, ai problemi di sicurezza edilizia, alla viabilità et cetera. Attendiamo l’esito della conversione del decreto legge, a giorni, per poi (eventualmente) riparlarne.

(1) Non sembri fuori luogo l’accostamento dei rave party, nelle loro radici psico-sociali, ad altre feste di sovvertimento sociale, celebrate fin dall’antichità: ci riferiamo al Carnevale, alle Antesterie in onore del dio greco Dioniso (Bacco), ai Bacchanalia, ai Saturnalia, tutte feste dell’eccesso, dell’infrazione, del lato irrazionale ed istintuale della vita, celebrate con grida, caos, travestimenti e danze estatiche.

(2) Dopo la discussione in Senato, dalla norma sono stati eliminati il riferimento all’ordine pubblico e al numero di cinquanta partecipanti.

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