1° MODULO: ERRORI E RESPONSABILITÀ NELLA RILEVAZIONE DEI SINISTRI STRADALI
La condivisione, nel tempo, di informazioni e l’analisi delle molteplici criticità hanno portato a sviluppare le migliori prassi da adottare per l’accertamento della dinamica dell’incidente stradale, mutuando modelli identici a quelli utilizzati dalla criminalistica per le scene del crimine.
Così nasceva “L’infortunistica stradale come scena del crimine“, primo format nel suo genere, ovvero basato sulle scienze psicologiche applicate al colloquio di polizia e la criminalistica, all’interno del quale, nel 2013 a Melendugno, si riproponeva il caso di Donato Bergamini, calciatore del Cosenza, la cui morte venne archiviata come suicidio nonostante le innumerevoli tracce che ne testimoniavano il delitto.
Per chi non rammentasse la brutta storia, va ricordato come fosse stato inscenato un finto incidente stradale con supposto trascinamento del corpo del calciatore per sessanta metri da parte di un autocarro. Il corpo appariva peraltro integro, con i vestiti puliti, nonostante quel lungo sfregamento, e con l’orologio ancora funzionante al polso. Tutti elementi che avrebbero dovuto avere un loro preciso collocamento all’interno dell’analisi e della ricostruzione della dinamica, al fine di arrivare alla verità.
Ecco dunque ciò che, caro alla scienza della criminalistica (da non confondere con la criminologia che è tutt’altra cosa), deve essere sempre considerato nella ricostruzione di un evento: la lesività.
È la medicina legale, ricompresa fra le varie scienze su cui si fonda in modo interdisciplinare la criminalistica, che ci ragguaglia sul fatto che la lesività è
“La proprietà o capacità di una sostanza o di un mezzo di poter compromettere l’integrità fisica, funzionale o psichica della persona.”
E allora come possiamo omettere di fondare le nostre ricostruzioni sulla lesività?
È stato l’incontro con il Dott. Bedessi, che tra i primi iniziava a far emergere i molteplici errori connessi ai rilievi, che ci ha spinti a rivedere la prassi in un’ottica differente. Sebbene sia ancora oggi diffusa l’opinione di ritenersi ottimi rilevatori solamente perché la Procura della Repubblica non ha niente da sindacare sulle ricostruzioni effettuate, arrivando alla deduzione che, non essendovi contestazioni e questioni, i rilievi devono per forza di cose essere corretti.
Sul punto occorre però fare assoluta chiarezza. Le Procure non fanno altro che prendere atto delle attività svolte dalla polizia giudiziaria, delle risultanze da questa prodotte perché, a meno che non vi siano elementi tali da portare a ritenere gli agenti responsabili per dolo o colpa (dal depistaggio alla negligenza), le stesse si limitano a prendere atto di ciò che viene loro presentato. In tutte le altre circostanze, ovvero quando dubitano delle ricostruzioni, le Procure si limitano ad affidare a propri consulenti tecnici la riproposizione della ricostruzione della dinamica dell’incidente stradale e sono proprio quest’ultimi a presentare ai magistrati che li hanno incaricati le difficoltà riscontrate per misure imprecise, elementi mancanti, ecc. ecc.
Così può accadere che i rilevatori intervenuti vengano convocati in udienza come persone informate sui fatti; altre volte possono emergere criticità tali da condurre i legali delle parti a proporre querela nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria e degli agenti di p.g. firmatari degli atti su cui, nero su bianco, ne vanno a sottolineare il falso ideologico.
È alla luce di questi possibili errori nei rilievi dei sinistri stradali e delle conseguenti responsabilità, ma senza per questo voler apparire giudici del lavoro altrui, che abbiamo condotto una serie di studi. L’intento è quello di condividerne i risultati, così da perseverare nella giustezza e nella giustizia come risultato del servizio di polizia, o meglio quell’obiettivo verso cui l’attività della p.g. deve tendere.
