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Il Codice Rosso: prime riflessioni della riforma in tema di indagini preliminari

 

La legge 19 luglio 2019, n. 69, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere è entrata in vigore il 9 agosto scorso. 

La novella legislativa si pone l’obiettivo di incrementare e fortificare la capacità dell’ordinamento di prevenire e reprimere gli esecrabili reati, enucleati in una ampia categoria nota come violenza domestica e di genere, perpetrati in pregiudizio di soggetti qualificati come ontologicamente deboli. 

Il nome mediatico assunto dall’apparato normativo è Codice Rosso

L’art. 1 l. n. 69/2019 modifica le disposizioni inerenti all’obbligo di riferire la notizia di reato mediante un’implementazione dell’art. 347, comma III, c.p.p., per cui “se si tratta di taluno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6), del presente codice, o di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice penale, e, in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l’ora in cui ha acquisito la notizia”. 

S’impone, primariamente, di ricordare come l’art. 347 c.p.p. considera come determinanti, ai fini di un obbligo di comunicazione, gli “elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti”. 

Come ho avuto occasione di evidenziare nel capitolo “Indagini preliminari” nell’opera collettanea A. Conz, L. Levita (a cura di), Il Codice Rosso. Commento organico alla legge 19 luglio 2019, n. 69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Dike Giuridica, Roma, 2019, la notizia di reato non è una qualsiasi nebulosa informazione da cui potrebbe essere desunto un fatto penalmente rilevante, bensì si traduce in un’obiettiva descrizione di un accadimento che, almeno in forma embrionale, sia in grado di prospettarne la rilevanza penale. 

Pertanto, la comunicazione di notizia di reato è un obbligo che sorge nel momento in cui siano riscontrabili almeno gli elementi essenziali del fatto nonché eventuali altri elementi in grado di suffragare l’ipotesi accusatoria preliminare. 

La riforma obbliga l’immediata comunicazione al pubblico ministero per una categoria tassativa di rati che, nella loro architettura normativa, presentano peculiarità descrittive, circostanze aggravanti (che incidono peraltro, per taluni casi, sulle condizioni di procedibilità) e versi rinvii ad altre norme. 

Tenuto conto dell’obiettiva particolarità dei nuovi illeciti enucleati nel riformato art. 347, comma III, c.p.p., si ritiene che vi sia il rischio concreto che la p.g. adotti una strategia di “polizia difensiva”. 

Per non incorrere in errori, si immagina che molti operatori di p.g. potrebbero essere indotti ad adottare una strategia di avviso indiscriminato al pubblico ministero anche a fronte di ipotesi di reato “deboli” e/o non ancora ben delineate. 

Vi sono altre questioni che meritano approfondimento; in particolare: 

1. l’operatività dell’immediata comunicazione in caso di reati procedibili a querela di parte che non sia ancora intervenuta; 

2. la problematica della corretta qualificazione giuridica del fatto, antecedente indispensabile per adempiere all’obbligo di immediata comunicazione; 

3. la reale portata innovativa della norma rispetto alla prassi già in vigore; 

4. il rapporto tra obbligo di immediata comunicazione e reati commessi a opera di ignoti

Inoltre, l’art. 2 legge n. 69/2019 ha implementato l’art. 362 c.p.p. in tema di assunzione di informazioni da parte del pubblico ministero, per cui “(…) quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”. 

Balza agli occhi come sia obiettivamente impossibile che l’ufficio del pubblico ministero tratti ogni singolo aspetto di ogni singolo procedimento di sua competenza. 

La novella ha introdotto due aggiunte al comma due, per cui “2-bis. Se si tratta di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al 

compimento degli atti delegati dal pubblico ministero. 2-ter. Nei casi di cui al comma 2-bis, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell’attività nelle forme e con le modalità previste dall’articolo 357”. 

È superfluo – e per certi versi irrispettoso – che si ricordi alla polizia giudiziaria, con una norma ad hoc, che sia necessario compiere le indagini delegate del pubblico ministero senza ritardo. 

Rimarco, allora, un pensiero espresso nel volume citato: “il problema dell’incapacità dell’ordinamento nel contrastare i reati di violenza di genere e/o domestica non trova le proprie origini nel momento dell’acquisizione della notizia di reato, poiché chi è chiamato a svolgere funzioni di polizia giudiziaria è ben consapevole che, innanzi a ipotesi delittuose in pregiudizio dei soggetti deboli e comunque in ragioni di particolare urgenza, è necessario attivarsi prontamente comunicando, in brevissimo tempo, ciò che sta accadendo al pubblico ministero. Nonostante tutto la riforma esordisce, all’art. 1, proprio con la revisione dell’art. 347, comma III, c.p.p., come se fosse palese e lampante che il primo ostacolo alla corretta risoluzione del problema sia da ricondursi al momento genetico del procedimento penale, ovvero la cognizione della notizia di reato e relativa trasmissione al pubblico ministero”. 

Conferma si rinviene, a mio parere, nelle parole del Procuratore di Milano, dott. Greco, per cui “qua nessuno vuole contestare il codice rosso, dico che sta diventando un problema a livello pratico, il problema è come gestirlo, già ora ci sono 30 allarmi al giorno (ossia denunce o segnalazioni in Procura, ndr) e ciò ci impedisce di estrapolare i casi più gravi”. Così il procuratore di Milano Francesco Greco, parlando coi cronisti dell’ennesimo femminicidio, ossia la morte di Adriana Signorelli, si è espresso sul codice rosso, la nuova legge a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” (…) Il codice rosso’ è certamente “utile” ed importante nella sostanza, ma “il problema è come gestirlo” e si rischia di non riuscire ad “estrapolare i casi più gravi” dalla marea di denunce, anche perché tutti i casi per legge devono essere trattati “con urgenza”. 

Ma queste sono solo riflessioni preliminari. 

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