#BastaImpuniti
Il 7 novembre 2018 veniva coniato l’Hashtag “Basta Impuniti“, a rappresentare una campagna politica contro l’Istituto della Prescrizione: “Combattere la prescrizione vuol dire combattere i furbetti e dire basta agli impuniti.“.
Non importa da quale schieramento politico proviene l’hashtag, non è nell’intenzione di IPS esprimersi secondo tendenze politiche, essendo per sua stessa vocazione apolitica e asindacale. Le finalità del presente articolo, quindi, saranno condensate ed incentrate sull’hashtag quale valore di giustizia alla quale aggiungeremo quella di #giustiziasempre!
In cosa consiste la Prescrizione dei reati?
La prescrizione comporta l’estinzione del reato, nel senso che quando matura, non si potrà più procedere nei confronti di chi ha commesso il fatto. E’ il trascorrere del tempo giudiziario prima che si arrivi alla fase definitiva a far si che il reato possa venire sentenziato nel merito. Quando la fase temporale in cui si giunge alla sentenza supera il termine stesso della pena prevista per quel reato, esso non può più essere giudicato e l’iter termina con la dichiarazione da parte del giudice di non doversi procedere per estinzione del reato per sopraggiunta prescrizione.
E’ una decorrenza dei termini vera e propria in quanto prevede che un reato sia estinto, dunque che il procedimento che lo riguarda abbia fine, così come recita l’articolo 157 del Codice Penale, poi modificato dalla legge n. 251/2005 (ex Cirielli):
“decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”
Il tempo di prescrizione
Il tempo di prescrizione dipende dal tipo di reato: ogni crimine si prescriverà una volta che sia decorso il tempo che corrisponde al massimo della pena stabilita dalla legge. Alcuni esempi:
il reato di violenza sessuale si prescrive in dieci anni, perché questa è la pena prevista dal codice penale, ovvero con la reclusione sino a dieci anni, mentre, ad esempio, il furto semplice si prescrive in sei anni, in quanto, pur essendo prevista la pena massima per questo reato sino a tre anni di reclusione, per l’Art. 157 C.P. nessun delitto si può prescrivere prima dei sei anni. Solo i reati puniti con l’ergastolo non si possono prescrivere.
Dunque, per calcolare la prescrizione occorre conoscere il momento esatto in cui il reato è stato commesso, perchè è da lì che il termine prescrizionale comincia a decorrere, indipendentemente dalla proposizione della denuncia oppure dall’inizio delle indagini. Una persona che ha commesso un atto brutale nei confronti di un’altra persona, come lo sfregio permanente del viso, la perdita della funzione di un organo, il reato si prescriverà esattamente al termine della pena massima prevista, indipendentemente se la denuncia sia stata sporta o meno dalla vittima anche a distanza di tempo, perchè è il momento del fatto ciò che rileva ai fini della prescrizione.
Come ottenere giustizia in questi casi? E chi difende i cittadini onesti se delinquere paga?

La prescrizione, di fatto, è divenuto lo strumento per concludere i processi senza assunzione di responsabilità da parte di nessuno dei protagonisti, ben che meno da parte dello Stato attraverso l’A.G..
Secondo i dati del Ministero della Giustizia, nel 2017 i processi terminati senza sentenza per superamento dei tempi previsti sono stati 125.564, in calo rispetto ai 136.888 del 2016 e i 130.208 del 2015. In generale, quasi un processo su 10 (9,4%) degli oltre 1,3 milioni annuali in Italia non arriva a termine. Nelle grandi città come Roma, però, la percentuale arriva anche al 40%. Situazione analoga anche a Torino, Napoli e Venezia.
Nel 50% dei casi circa la prescrizione interviene nella fase preliminare, ossia in quella delle indagini che precedono il rinvio di giudizio: in sostanza non si fa in tempo ad arrivare in tribunale, o perché le indagini durano troppo o perché i fascicoli rimangono in attesa di essere presi in mano dai magistrati per un eccesso di denunce e di lavoro, o ancora per disfunzioni organizzative.
Sono sempre i numeri del ministero della Giustizia a indicare che nel 2017 i casi di prescrizione in questa fase sono stati 66.904, a fronte dei 27.436 avvenuti a processo iniziato.
I casi di estinzione del reato in fase di appello sono stati invece 28.125, pari al 25,7%, in Cassazione 670, davanti ai Giudici di Pace 2.439. L’andamento è comunque in calo negli anni, con una tendenza alla diminuzione dei casi di prescrizione. (1)
In tutta questa situazione così compromessa sotto il profilo della sicurezza dei cittadini, della percezione del senso di giustizia, si aggiungono anche i penalisti, i quali annunciano cinque giorni di sciopero dal 21 al 25 ottobre. Le toghe protestano contro la Riforma della Prescrizione che dovrebbe entrare in vigore il 1 gennaio 2020, l’unico modo per impedire la prescrizione dei reati dovuta ai tempi eccessivi della giustizia italiana, mentre per costoro verrebbe meno l’unico modo in cui l’ordinamento può difendere gli imputati dalla lunghezza dei processi e delle indagini:
“Con la nuova prescrizione tempi dei processi indefiniti…“
“Così i cittadini restano in balia della giustizia per troppo tempo”
“Le lungaggini della giustizia non possono ricadere sull’autore del crimine, il quale ha un autentico diritto alla maturazione della prescrizione.“
Eppure, solo poche settimane fa la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 16 aprile – 27 settembre 2019, n. 24106 ha ristabilito il principio della prescrizione decennale per le cartelle esattoriali, stabilendo di fatto un raddoppio della durata quinquennale della esigibilità del credito. Questo trattamento per la riscossione dei debiti dei cittadini verso lo Stato non ha lo stesso peso della riscossione del debito di giustizia nei confronti di quelle persone che hanno cambiato la vita stessa delle loro vittime, dei famigliari, che dal giorno del reato non vivono più con la spensieratezza e le certezze di una volta.
A questo si aggiunga che l’incertezza circa le sorti della giustizia, rende più vulnerabili le coscienze dei cittadini che non si sentono affatto protetti dallo Stato e dai suoi Organismi di amministrazione della Giustizia. Ormai la vita giudiziaria non rappresenta affatto il momento in cui la vita delle persone entra in aula e viene scandagliata al fine di ristabilire la giustizia ma è solo un assemblaggio di carte che al massimo costituiranno un falcone da archiviare.
Siamo diventati sterili, asettici, si è perso il senso vero delle cose che facciamo, la vocazione è ormai un ricordo.

E’ questa una resa?
No! Si vuole spingere, invece, verso una nuova forma di giustizia amministrata, affinché si possa uscire dall’inerzia e dallo stallo che è alla base dei numeri dei reati prescritti, fatto che spinge i cittadini a perdere la fiducia verso le Istituzioni e degli uni verso gli altri, con il rischio del diffondersi di una giustizia fai da te!
Fonte: camerepenali.it