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L’ A.S.O. tra le proteste dei famigliari del malato

“Aprire l’Istituzione non è aprire una porta, ma la nostra testa di fronte a “questo” malato…” (Franco Basaglia)

Il caso è quello di un famigliare che lamentava la mancanza di assistenza nell’esecuzione di un Accertamento Sanitario Obbligatorio, il c.d. A.S.O.: “I vigili urbani non hanno dato esecuzione all’accertamento sanitario obbligatorio per mio figlio”. Ma per questo il famigliare del malato psichiatrico si sarebbe dovuto rivolgere alla Polizia di Stato, grazie alla quale era stato possibile il ricovero del congiunto nel reparto di psichiatria.

Non ha tardato a far pervenire dei chiarimenti in proposito il Comandante della Polizia Municipale, chiamata in causa per la mancata esecuzione dell’A.S.O.:

In merito a quanto pubblicato e relativo all’operato del mio personale per la mancata esecuzione di un A.S.O.   preciso che questo è stato eseguito grazie alla costante presenza del personale della Polizia Municipale dando sempre supporto al personale medico operante e tentando costantemente un’attività di persuasione. Alle h 18,30 il soggetto si convinceva a salire sull’auto del personale medico che veniva scortata fino all’ospedale, accompagnando i sanitari ed il soggetto fino all’interno del reparto, evitando anche un tentativo di allontanamento.  Solo nel momento in cui il personale medico lo ha deciso, il mio personale ha lasciato il reparto attivandosi però per la trasformazione dell’ASO in TSO.  Va precisato però che trattasi di un provvedimento di carattere SANITARIO ed è bene ricordare che il soggetto non è un delinquente ma una persona bisognosa di cure e che per legge deve essere preceduto da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione dello stesso.  Restano tuttavia  interventi complessi e delicati (i fatti di Torino purtroppo sono eloquenti), privi di una regolamentazione dettagliata con chiarezza dei ruoli,  che hanno un duplice aspetto : TERAPEUTICO  e COSTRITTIVO, la cui natura è SANITARIA. L’esecuzione di un provvedimento sanitario del Sindaco si profila come uno dei compiti della Polizia Municipale e delle Forze dell’Ordine cui è indefettibile la contestuale presenza del personale sanitario.” …(versiliatoday.it)

Più che entrare nel merito della vicenda, preme chiarire alcuni aspetti relativi alla prassi nell’esecuzione dell’A.S.O. nel rispetto del malato, definendone i percorsi corretti al fine della tutela della salute del paziente.

Il famigliare è colui che per prima, nella quasi la totalità dei casi, fa scattare la sorveglianza sanitaria su quell’individuo che, in ragione della sua malattia, non è consapevole della necessità delle cure. Il primo passo di fronte a questo rifiuto, da parte del soggetto affetto da psicopatologia é l’accertamento dello stato di salute in situazione di opposizione alla visita medica, perchè, ovviamente, se il paziente ne fosse consapevole e accettasse di recarsi dal suo medico curante, tutto sarebbe risolto lì, mentre la difficoltà è proprio quella di riuscire in un’ anamnesi iniziale.

Come si procede in questi casi?

Il medico, di solito di famiglia, ma può essere un qualunque medico, richiede in forma scritta che si possa procedere ad un Accertamento Sanitario a carico di quest’ individuo riottoso. Il Sindaco, vista la richiesta, emette un’ Ordinanza A.S.O. e ne affida l’esecuzione al personale della Polizia Municipale/Locale. Ed è a questo punto che si creano le peggiori situazioni di fraintendimento.

L’Accertamento Sanitario, è il provvedimento amministrativo a carattere sanitario con cui si obbliga qualcuno a sottoporsi alla visita medica necessaria ad accertarne lo stato di salute. E’ per queste sue peculiarità che l’esecuzione dell’A.S.O. abbisogna di un medico, lì dove, se il malato dovesse opporre una resistenza alle cure, non rimane per il medico intervenuto, che richiedere un Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.).

Quando un A.S.O. si trasforma in T.S.O.?

Qualora il medico abbia acclarato la necessità e l’urgenza delle cure e che dette cure non possano essere dispensate in altro modo che presso la struttura sanitaria e che il rifiuto opposto dal malato sia opposto in ragione della sua malattia, che lo rende inconsapevole della necessità, a questo punto non rimane che stilare una proposta di Trattamento Sanitario Obbligatorio.

Operativamente, come si esegue un A.S.O.?

Purtroppo, si assiste, a livello operativo, a come l’A.S.O. sia diventata una sorte di “traduzione” del malato presso la struttura sanitaria (Dipartimento di Salute Mentale-Centro d’Igiene Mentale) lì dove, se la persona è collaborativa, si procede all’accertamento sanitario e alle cure del caso, e successivamente al riaccompagnamento a casa, a volte o spesso, da parte della stessa Polizia Locale. Se ciò non avviene, ovvero non si riesce a recuperare il consenso del malato, l’A.S.O. si trasforma in Trattamento Sanitario Obbligatorio ed il paziente viene ricoverato in Psichiatria, attraverso l’emanazione di una proposta, a cui fa seguito la convalida di un altro medico della A.S.L., per effetto delle quali, poi, il Sindaco emana l’Ordinanza di T.S.O..

Entrando nel merito di questa prassi, ciò che emerge in modo lampante, è che essa non tiene in debito conto dei diritti della persona e della sua volontà a scegliere, ad esempio, di essere curata nel suo ambiente. Infatti, come potrebbe essere curato nel suo ambiente di vita se molto spesso l’A.S.O. viene eseguito nella forma del trasporto del paziente in ambulanza presso il D.S.M.?

A detta di questo Comandante, non solo l’esecuzione è avvenuta, ma lo è stata in conformità della norma primaria: il rispetto della persona nella sua volontà. Questo non deve essere mai dimenticato, ed è triste se a dimenticarlo sono proprio gli stessi famigliari.

Miglioriamo, dunque, la prassi che vede l’A.S.O. eseguito di consueto presso la struttura sanitaria, e ritorniamo invece alla volontà normativa statuita da Franco Basaglia e da quanti lo seguirono

“In quei primi anni molta parte del lavoro consisteva nel parlare con i familiari o coi tutori per riuscire a cambiare lo statuto del malato, attorno al problema della restituzione dei diritti civili e delle possibilità economiche, di reddito. Questo sforzo era l’unico che ci permettesse di sottrarre l’esperienza delle persone alla totalizzazione psichiatrica. Gli internati dovevano essere riconosciuti come persone dotate di identità altra, che non si esauriva nel loro essere oggetti dell’istituzione e oggetti della psichiatria. Noi sostenevamo di non poterci neppure confrontare con loro, se prima non fosse stato loro restituito lo statuto di cittadini”
(intervista a Franco Rotelli, 1978)

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