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Tutela della privacy nell’uso delle fototrappole

Gli anglofoni le definiscono Stealth Camera o Scout Camera (letteralmente: macchina fotografica invisibile o macchina fotografica dell’esploratore); in italiano sono chiamate fototrappole. Sono apparecchi che scattano foto o girano video, che possono essere trasmessi a distanza, grazie ad una rete GSM o un wifi. Il dispositivo si attiva, grazie ad un sensore, al passaggio di un corpo. In origine, tale strumento veniva utilizzato per riprendere la fauna selvatica, senza essere invasiva nei suoi confronti, a fini di interesse scientifico, per riviste o documentari.

Nel tempo, tali dispositivi si sono rivelati utili alle forze dell’ordine, per controllare ampie zone, spesso periferiche o semi-disabitate, anche in assenza o scarsità di personale a disposizione; la contestuale trasmissione a distanza delle immagini e delle riprese, peraltro, potrebbe permettere di intervenire tempestivamente per accertare e contestare le infrazioni (per es. in materia di abbandono dei rifiuti), sventare furti, interrompere atti vandalici e danneggiamenti e assicurare i responsabili alla giustizia. Anche per finalità di deterrenza e prevenzione, l’utilità della fototrappola è innegabile, così come tutti i sistemi di videosorveglianza, fra i quali la stealth cam va annoverata.

Sotto il profilo pratico, soprattutto per le finalità di polizia, andrebbe preferita una fototrappola ad infrarossi, la quale rende chiare anche le riprese effettuate in ore notturne, restando invisibile, a differenza delle telecamere dotate di flash. L’apparecchio, inoltre, dovrebbe essere posizionato molto in alto (su di un tetto, una grondaia, un palo della luce, etc.), per evitare eventuali furti e danneggiamenti.

Le normative recenti hanno attribuito specifici compiti ai Sindaci, in materia di pubblica incolumità e sicurezza urbana. A tali fini, l’art. 1 della Legge n. 38/2009, di conversione del D. L. n. 11/2009, ha previsto che ” per la tutela della sicurezza urbana i Comuni possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico”, con conservazione delle immagini per un periodo massimo di sette giorni (art. 6, commi 7 e 8). Anche la legge n. 48/2017, di conversione del D.L. n. 14/2017, in materia di sicurezza urbana integrata, potenzia l’intervento degli enti territoriali e la collaborazione tra le forze di polizia statali e locali e riconosce l’utilità, al fine di contrastare la criminalità diffusa e predatoria, tutelare l’arredo urbano, il verde pubblico e i parchi cittadini, della videosorveglianza, incentivandone l’utilizzo anche da parte dei privati mediante misure fiscali.

Col provvedimento dell’ 8 aprile 2010, il Garante della Privacy detta disposizioni relative alla videosorveglianza nella sicurezza urbana e nel deposito di rifiuti; disposizioni che riguardano indubbiamente anche il fototrappolaggio, riconducibile alla categoria della videosorveglianza.

Riguardo alla sicurezza urbana, al punto 5.1. del provvedimento summenzionato, il Garante stabilisce che ”
sussistono specifiche funzioni attribuite sia al sindaco, quale ufficiale del Governo, sia ai comuni, rispetto alle quali i medesimi soggetti possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico al fine di tutelare la sicurezza urbana”. Inoltre, auspica che anche nelle ipotesi in cui le attività di videosorveglianza siano assimilabili alla tutela della sicurezza pubblica, nonché alla prevenzione, accertamento o repressione dei reati (ipotesi in cui l’informativa potrebbe essere omessa, come ci ricorda il punto 3.1.1) “l´informativa, benché non obbligatoria, venga comunque resa, specie laddove i comuni ritengano opportuno rendere noto alla cittadinanza l´adozione di misure e accorgimenti, quali l´installazione di sistemi di videosorveglianza, volti al controllo del territorio e alla protezione degli individui”.

Per il deposito dei rifiuti, al punto 5.2 del provvedimento il Garante ammette l’uso dei sistemi di videosorveglianza solo in caso di inefficacia o impossibilità di sistemi alternativi e sia per quanto riguarda le disposizioni sanzionate amministrativamente che per quelle di natura penale.

Anche il fototrappolaggio pone l’esigenza, al pari di altri sistemi di trattamento dei dati, di tutelare la privacy e proteggere i dati raccolti. L’attivazione del dispositivo, se finalizzata ad attività di ricerca scientifica, di osservazione faunistica di polizia amministrativa, comporta, innanzi tutto, gli obblighi d’informativa con cartelli posti prima del raggio d’azione della telecamera, secondo le prescrizioni degli artt. 13 e 14 del Reg. U.E. 2016/679. Anche per finalità di sicurezza e protezione dei beni, nonché prevenzione di furti, se l’area è pubblica o accessibile al pubblico, i cartelli informativi sono necessari; se l’area è privata è sufficiente solo l’autorizzazione del proprietario.

I predetti cartelli dovranno riportare:

  • identità e dati di contatto del titolare e/o responsabile del trattamento
  • finalità e base giuridica del trattamento
  • periodo di conservazione delle immagini o criteri per determinare tale periodo
  • diritto di accesso dell’interessato ai propri dati
  • altre informazioni, di cui agli artt. 13 e 14 predetti

Naturalmente, non potendo tutte le informazioni elencate agli artt. 13 e 14 Reg. U.E. 2016/679 essere contenute in un cartello, dovrà essere indicato un modo semplice e diretto affinchè gli interessati possano reperire le informazioni prescritte (numero telefonico, sito web, indirizzo dell’ente che ha posizionato la fototrappola, etc.).

Peraltro, sarebbe opportuno che il Comune, per maggior chiarezza ed uniformità di prassi, disciplinasse con un regolamento dettagliato l’intera fase delle procedure di posizionamento degli apparecchi, di accertamento delle fattispecie, di verbalizzazione dell’illecito, di estrapolazione dei dati, di visione dei fotogrammi, di conservazione e altro.

Nell’ipotesi di riprese effettuate nel corso di indagini di polizia giudiziaria, la disciplina cambia. Il trattamento dei dati nelle attività di p.g., infatti, a livello europeo non ricade nell’ambito del GDPR (acronimo che individua il reg. U.E. 2016/679), bensì della direttiva 2016/680; come ben sappiamo, la direttiva è fonte normativa che obbliga i destinatari (gli Stati) a raggiungere una determinata finalità con i mezzi giuridici che essi ritengono più utili ed opportuni. In Italia, la direttiva summenzionata è stata attuata con D. Lgs. 51/2018, che riguarda il trattamento dei dati effettuati dalle autorità pubbliche a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali.

Con riferimento a quanto sopra esposto, nel corso di indagini di p.g. che si avvalgono dell’utilizzo di fototrappole,

  • l’informativa può essere omessa (Punto 3.1.1 del Provvedimento del Garante dell’8 aprile 2010);
  • l’incaricato (ossia, colui che esegue materialmente le operazioni di trattamento dei dati) deve rivestire necessariamente la qualifica di cui all’art. 57 c.p.p..;
  • le immagini vanno conservate per il tempo prescritto dall’art. 10 del D.P.R. n. 15 del 15.01.2018, che distingue diversi periodi per differenti fattispecie di reato (peraltro, anche nel caso di infrazioni amministrative accertate, le immagini vanno conservate oltre il termine dei 7 giorni sopra riferito, in quanto entrano in altro procedimento).

Inoltre, il titolare e il responsabile del trattamento dei dati sono destinatari di obblighi di sicurezza, per la protezione dei dati, di cui all’art. 25 del D. Lgs. 51/2018 e al capo V del D.P.R. n. 15/2018; sulla base dei predetti articoli, a titolo puramente indicativo, si può suggerire che la fototrappola sia posizionata in contenitori antifurto oppure chiusa con lucchetti a cavo (came-lock); che venga impostata una password che impedisca a chi non è autorizzato di cambiare la configurazione all’apparecchio, et cetera.

Tuttavia, le misure di sicurezza possono essere innumerevoli: infatti, in base al principio di accountability, che informa tutta la recente normativa sulla protezione dei dati, titolari e responsabili sono tenuti ad adottare tutte le misure adeguate alla protezione, siano esse di natura tecnica che organizzativa; in caso di trattamento illecito dei dati, infatti, l’onere di provare che esso è avvenuto per caso fortuito ed imprevedibile spetta proprio al titolare e/o al responsabile; diversamente, gli stessi saranno sanzionati e tenuti al risarcimento del danno eventualmente prodotto dal trattamento illecito dei dati.


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