È stata pubblicata in data 14 dicembre 2017 sulla Gazzetta ufficiale la legge 179/2017 “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”.
Il provvedimento tutela i cosiddetti “whistleblower”.
Chi sono costoro? Cosa si intende esattamente con questo termine?
Al momento, nel lessico italiano non esiste una parola semanticamente equivalente a questo termine di derivazione angloamericano. Nel nostro gergo manca proprio la parola, e di conseguenza il concetto stesso è poco familiare presso l’opinione pubblica italiana, il che vuol dire che all’interno del contesto socio-culturale italiano, non vi era un riconoscimento stabile della “cosa” a cui la parola fa riferimento prima dell’entrata in vigore della legge de quo.
Nella lingua inglese la parola whistleblower (soffiatore nel fischietto) indica ‘una persona che lavorando all’interno di un’organizzazione, di un’azienda pubblica o privata si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo all’interno dell’azienda stessa o all’autorità giudiziaria o all’attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento’.
A chi si applica in concreto questa definizione? Per citare qualche esempio, si applica al dipendente dell’ufficio contabilità di un ente o di un’azienda che si accorge di un buco nel bilancio o al ricercatore di una casa farmaceutica che è a conoscenza del fatto che il farmaco che sta per essere lanciato sul mercato non ha superato tutti i test di controllo e può avere effetti collaterali pericolosi e non dichiarati. E queste persone decidono di non poter/voler tenere per sé le informazioni di cui sono in possesso e le riportano al superiore, al direttore o a una qualche autorità che abbia il potere di intervenire per bloccare il comportamento illecito e le sue conseguenze. Gli esempi sono generici, fittizi e potrebbero moltiplicarsi e differenziarsi in base agli ambiti lavorativi e ai tipi di azioni illegali perpetrabili, prevedendo fra l’altro che il dipendente che segnala illeciti, oltre ad avere garantita la riservatezza dell’identità, non possa essere sanzionato, demansionato, licenziato o trasferito.
Per quanto riguarda la Pubblica amministrazione, in caso di misure ritorsive dovute alla segnalazione, l’ANAC informerà il Dipartimento della Funzione pubblica per gli eventuali provvedimenti di competenza e potrà irrogare sanzioni da 5.000 a 30.000 euro nei confronti del responsabile, mentre in caso di licenziamento il lavoratore sarà reintegrato nel posto di lavoro.
Sarà onere del datore di lavoro dimostrare che eventuali provvedimenti adottati nei confronti del dipendente motivati da ragioni estranee alla segnalazione. Nessuna tutela sarà tuttavia prevista nei casi di condanna, anche con sentenza di primo grado, per i reati di calunnia, diffamazione o comunque commessi tramite la segnalazione e anche qualora la denuncia, rivelatasi infondata, sia stata effettuata con dolo o colpa grave.
Certamente è un primo passo, e come per tutte le novità occorre siano introdotti sistemi valutativi dello strumento normativo affinché possa portare i risultati sperati, ovvero giuste segnalazioni e giuste conseguenze. Allo stato attuale appare inesistente la predisposizione di strumenti o istituti a promozione del whistleblowing specie nel contesto culturale attuale poco incline alla segnalazione di attività altrui, specie se illecite.
Fonte: Anac