Per chi si accinge a leggere le pagine dei giornali delle ultime settimane, o per tutti gli spettatori amanti dell’apparecchio televisivo, il tema del bullismo ormai dovrebbe essere un argomento purtroppo abbastanza rivisto o risentito. Tale fenomeno riguardante i giovani dalla minore età andrebbe però approfondito, non solo perché riguarda direttamente la realizzazione o meno di un proficuo sviluppo della futura società ma, soprattutto, perché alla nuova generazione viene affidato l’arduo compito di portare quella fiaccola di valori culturali e normativi trasmessi dalla comunità (o almeno così dovrebbe essere).
Secondo la definizione del vocabolario Treccani per bullismo si intende “un atteggiamento di sopraffazione sui più deboli, con riferimento a violenze fisiche e psicologiche attuate specialmente in ambienti scolastici o giovanili”.
Oltre a ciò essendo considerato un comportamento deviante le conseguenze necessarie da adottare riguarderebbero la sottoposizione di chi commette questi atti a trattamenti curativi, correttivi e punitivi.
Quello del bullismo si presenta da sempre come un tema delicato da trattare perché spesso si ritiene di sanzionare una persona con una coscienza non ancora formata pienamente e in quanto tale è bene che il soggetto minore che compia l’atto deviante non venga stigmatizzato ulteriormente dalla società (comportamento che causerebbe una spirale avversa permettendo al minore di identificarsi pienamente nella figura a cui aspira di diventare, ovvero quella di un individuo deviante).
Le ricerche e gli studi condotti dalla letteratura psicologica, pedagogica e sociologica riguardo alla genesi dei fattori scatenanti di tale fenomeno sono numerosi e provenienti da ogni contesto geografico (dall’America all’Inghilterra) ma ciò che viene rimarcato nella maggior parte di essi è che l’atto di bullismo sia da associarsi prevalentemente alla mancanza di una comunicazione, sia che essa sia intrafamiliare che con il gruppo dei pari. Ovvero tali atti o la maggior parte di essi verrebbero commessi per ottenere una forma di attenzione da parte dei propri familiari o dei propri coetanei. Oltre a ciò giocherebbe un ruolo fondamentale la trasmissione dei valori culturali e normativi, compito preponderante affidato ai genitori del giovane, ai quali spetta di guidarli su un percorso di crescita adeguato e rispettoso nei confronti della comunità ma che, purtroppo in molti casi risulta carente o addirittura assente.
Attraverso la consultazione dei dati Istat del 2017 inoltre emerge come questo fenomeno sia in netta crescita in tutto il territorio nazionale e riguardi diverse fasce d’età. Ad esempio i ragazzi dagli 11 ai 13 anni (22,5%) sarebbero più colpiti rispetto ai giovani fra i 14 e i 17 anni (17,9%). Più le ragazzine (20,9%) rispetto ai maschi (18,8%) hanno subito comportamenti offensivi, violenti o comunque non rispettosi. Inoltre dal punto di vista nazionale l’ISTAT ha registrato che in quest’ultimo anno il fenomeno del bullismo in Italia è stato maggiormente presente nel nord seppur con percentuali di differenza risibili rispetto ai territori del sud Italia.
Riguardo alle pratiche di intervento e ai modi che le vittime trovano più efficienti per uscire da queste pratiche di aggressioni fisiche e psicologiche perverse il 69,9% delle femmine e il 60,4% dei maschi trova utile rivolgersi ai propri genitori, mentre la restante differenza percentuale di entrambi i sessi ritiene opportuno attivarsi con gli insegnanti o parlare con fratelli, sorelle o amici.
Tra i progetti di intervento quelli ritenuti più utili ai fini di attuare un’adeguata prevenzione risultano invece l’attivazione di corsi aggiuntivi di formazione per gli insegnanti delle scuole medie e degli istituti scolastici superiori e gli interventi di sensibilizzazione riguardo al tema durante convegni scolastici strutturati ad hoc insieme all’assistenza dei servizi sociali e rivolti soprattutto ai genitori degli alunni.
L’ambito penale: divergenze e strumenti previsti
Parlare di interventi penali in quest’ambito ci conduce verso un terreno scivoloso: se da un lato infatti c’è chi propugna per una difesa del minore in ogni caso perché viene considerato soggetto debole e vulnerabile, dall’altro ci sono le vittime o i familiari di queste che invece pretendono un inasprimento delle pene e degli interventi.
Seppur il bullismo non sia giuridicamente inquadrato come reato esso si estrinseca spesso in comportamenti idonei a integrare però reati penali quali ad esempio quelli riguardanti le percosse, le lesioni, i furti o anche il sequestro di persona. In Italia è emerso dunque il bisogno di regolare la disciplina del processo penale minorile mediante il D.P.R. n. 448 del 22 Settembre 1988 che mira più a una rieducazione del condannato piuttosto che ad una vera sanzione.
Tra le misure alternative più utilizzate all’interno di esso viene previsto il MAP (“messa alla prova”) che consiste in una sospensione del procedimento e l’affidamento del giovane imputato ai servizi sociali che delineano una serie di prescrizioni da portare a termine per concludere positivamente il provvedimento giuridico. Tale procedura alternativa è prevista rispettivamente dagli art. 28 e 29 del suddetto D.P.R. e prevede che alla base della sospensione del procedimento venga redatto e approvato un progetto dall’USSM in concertazione con i servizi sociali del territorio e che coinvolga il minore, la famiglia e l’ambiente di vita verso quel mutamento che, possa riequilibrare i rapporti tra il minore, gli altri e la società nel suo complesso. Oltre a ciò viene previsto che il giudice abbia la facoltà di impartire <<prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa>> (art. 28), in accordo con una finalità riparativa – restorative justice – che il procedimento penale minorile si prefigge di raggiungere. Nonostante però la presenza di tali strumenti previsti nei casi dei procedimenti penali minorili volti al reinserimento sociale del minore in società e alle Regole di Pechino (importante documento dell’ONU riguardante le regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile e che disciplina i Paesi membri ad aggiornare i propri testi legislativi in tale materia), oggi si avverte sempre più il bisogno di creare un raccordo più sinergico tra Tribunale dei Minori e il sistema sociale per fornire interventi maggiormente produttivi che favoriscano il coinvolgimento della famiglia, della scuola e dell’ambiente sportivo e ricreativo (elementi ritenuti fondamentali e di priorità assoluta per una corretta e sana crescita dei nostri posteri).
Documenti consultati: https://www.treminuti.eu/bullismo-in-italia-i-dati-istat.html