Da qualche anno a questa parte le Prefetture, nel dare seguito ad una circolare del Ministero dell’Interno, laddove le esigenze di Ordine e Sicurezza Pubblica richiedono una maggiore copertura dei Servizi delle Forze di Polizia dello Stato (e questo avviene in particolare nelle ore notturne), per sopperire alle carenza degli Organici delle Forze di Polizia, non fanno altro che si rivolgono ai Sindaci e, quindi, alla Polizia Locale di sopperire alle carenze disponendo di assicurare i Servizi di Polizia Stradale nelle ore notturne. In particolare, si rivolgono ai Sindaci dei Comuni capoluoghi di Provincia (come ad esempio a Pescara e provincia, proprio laddove risulta che il maggior numero di incidenti gravi si verifica in altre ore del giorno) e nelle città medio grandi, motivando tale richiesta, in contraddizione con le risultanze dei dati statistici (vedasi recenti dati ISTAT), al fine di garantire ai cittadini una maggiore sicurezza stradale.
Analizziamo alcuni dati, a partire dall’approfondimento in materia condotto dal Ns. componente della Consulta Scientifica IPS, Com.te di P.L Dott. Giuseppe Montana, riguardante il lavoro usurante del lavoro notturno e delle difficoltà che comporta, per poi passare all’approfondimento dell'”annosa” questione dello Status della Polizia Locale (Forza di Polizia sì o no), già trattato in altre pubblicazioni, in presenza oggi del Decreto 14/2017, come convertito in L. 48/2017 sulla Sicurezza delle Città.
“Il lavoro noturno”
di Giuseppe Montana
Premessa.
Molto spesso nei vari Comandi di polizia municipale sorgono dubbi e perplessità in merito alla disciplina normativa che tutela la salute degli operatori di polizia municipale nell’espletamento del lavoro notturno.
Tali perplessità nascono soprattutto con riferimento alla necessità di individuare l’orario di inizio del lavoro notturno e quindi il limite temporale a partire dal quale trova applicazione la complessa normativa tecnica sulla tutela psicofisica dello stesso lavoro notturno.
Per tale ragione, si è ritenuto di voler dare un proprio modesto contributo nella speranza di aiutare comandanti, operatori di polizia municipale e rappresentanti sindacali nell’opera di ricerca della verità normativa su tale spinosa questione, che spesso risulta fonte di diatribe sindacali se non addirittura di denunce.
Ebbene, nell’affrontare tale argomento con riferimento specifico ai dipendenti comunali, si deve subito dire che la vigente normativa non consente di effettuare una reductio ad unitatem della disciplina del lavoro notturno per tutti i dipendenti comunali. Invero, si assiste ad una regolamentazione diversa a seconda se il lavoro notturno sia prestato dalla polizia municipale ovvero da altri dipendenti comunali (amministrativi, contabili, tecnici).
Pertanto, qui di seguito si è tentato di riepilogare la diversità di disciplina normativa vigente per le diverse categorie di lavoratori dipendenti, al fine di determinare il limite orario notturno a partire dal quale decorre per il Comune l’obbligo di predisporre ed attuare le guarentigie di legge previste i lavoratori notturni della polizia municipale.
1. Disciplina normativa generale prevista per il lavoro notturno.
Con riferimento al lavoro notturno prestato dalla generalità dei dipendenti comunali si devono rilevare due distinti aspetti, diversamente disciplinati da due norme aventi natura giuridica differente:
- l’aspetto relativo al pagamento della retribuzione per il lavoro notturno;
- l’aspetto relativo alla tutela della salute dei lavoratori notturni.
Il primo aspetto è disciplinato da una norma di diritto privato e precisamente dall’art. 22, comma 4, c.c.n.l., comparto Regioni ed Autonomie Locali, stipulato in data 14.09.2000.
Con questa norma contrattuale le parti (P.A. – datore di lavoro – ed associazioni di categoria in rappresentanza dei lavoratori), in via convenzionale, hanno stabilito quale deve essere la retribuzione integrativa per il lavoro notturno (maggiorazione del 30%, ovvero del 50% in caso di notturno festivo), precisando che, per tali fini retributivi, si deve considerare lavoro notturno quello prestato oltre le ore 22.00 e sino alle ore 6.00 del mattino.
In pratica, la finalità teleologica di questa norma contrattuale è quella di ristorare il disagio patito dai lavoratori notturni con una retribuzione integrativa convenzionalmente fissata tra le parti. Quindi, il bene giuridico tutelato dalla norma in esame attiene alla tutela patrimoniale dei lavoratori notturni.
Il secondo aspetto è invece disciplinato da una norma imperativa di diritto pubblico.
Si fa qui riferimento al d.lgs. 8 aprile 2003, n° 66. Si tratta di una disposizione di legge che riprende il precedente d.p.r. 432/99, apportandovi però le modifiche resesi necessarie per adeguarlo alla direttiva comunitaria 93/104/CE . Detto decreto legislativo (n. 66/2003) è stato più volte modificato dal legislatore, che è intervenuto con il d.lgs. 213/2004, con la l. 133/2008 ed infine con la l. 9/2014 di conversione del d.l. 145/2014.
Ebbene, nella sua attuale formulazione, detto decreto prevede che si considera come periodo di lavoro notturno il lavoro di almeno sette ore consecutive all’interno del quale deve rientrare il lasso di tempo compreso tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Ciò significa che se il turno di lavoro giornaliero non supera la mezzanotte ovvero se inizia dopo le cinque non si può parlare di periodo di lavoro notturno, semmai si può parlare solo di lavoro ordinario – antimeridiano o post meridiano – (art. 1, comma 2, lett. d).
Lo stesso citato decreto 66/03 (art. 1, comma 2, lett. e) stabilisce inoltre che per lavoratore notturno si deve intendere:
- il lavoratore, che durante il periodo di lavoro notturno (cioè nelle sette ore poste a cavallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino), svolga almeno 3 ore del suo lavoro giornaliero;
- ovvero il lavoratore, che durante il periodo di lavoro notturno (cioè nelle sette ore poste a cavallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino), svolga un periodo di lavoro diverso dalle predette tre ore, purché detto periodo lavorativo risulti corrispondente al periodo di tempo all’uopo previsto dalla contrattazione collettiva di settore; nel caso in cui la contrattazione collettiva non intervenga su tale specifico aspetto, per lavoratore notturno si deve intendere colui che durante il periodo di lavoro notturno (cioè nelle sette ore poste a cavallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino) svolga almeno tre di lavoro notturno per un minimo di 80 giorni l’anno (art. 1, comma 2, lett. e) del d.lgs. 66/2003);
in proposito, è anche opportuno precisare che la circolare n° 8/2005 del ministero del lavoro ha inteso rilevare che per contrattazione collettiva si deve intendere non solo quella nazionale ma anche quella decentrata integrativa, ciò evidentemente perché la contrattazione collettiva nazionale degli enti locali in subiecta materia non prevede nulla, tranne quanto già detto sopra in merito all’aspetto patrimoniale.
Sempre dal citato d.lgs. 66/2003 si ricava che in presenza di lavoro notturno, così come sopra definito, scattano a carico del datore di lavoro una serie di limiti, esenzioni, obblighi e divieti, che il capo IV dello stesso decreto pone a tutela della salute dei lavoratori adibiti a lavori notturni.
Tutto ciò dimostra la diversità del bene giuridico tutelato dal d.lgs. 66/2003, rispetto al bene giuridico invece tutelato dal sopra citato art. 22 c.c.n.l. del 14.09.2000.
Infatti, il d.lgs. 66/2003 mira a garantire la tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori notturni, mentre l’art. 22 c.c.n.l. tutela solo gli aspetti patrimoniali connessi al lavoro notturno, garantendo al lavoratore notturno un’indennità integrativa per il disagio patito.
La diversità di bene giuridico tutelato dalle due norme in esame non costituisce solo il risultato derivante da un loro esame ermeneutico di carattere logico-sistematico e teleologico, ma costituisce anche il portato chiaramente desumibile dall’art. 13, comma 2, del d.lgs. 66/2003, laddove vengono espressamente fatte salve le prescrizioni della contrattazione collettiva in materia di trattamento economico del lavoro notturno. Tale richiamo alla contrattazione collettiva dimostra come la norma in esame (cioè il d.lgs. 66/2003) si limiti a disciplinare il lavoro notturno sotto il solo aspetto della tutela della salute psico-fisica dei lavoratori, lasciando invece alla contrattazione collettiva la disciplina dell’ulteriore aspetto relativo alla tutela economico-retributiva.
2. Disciplina normativa specifica prevista per il lavoro notturno della polizia municipale
Quanto sopra riportato costituisce la disciplina stabilita per la generalità dei lavoratori notturni, sia pubblici che privati.
Tuttavia, lo stesso decreto esenta dall’applicazione di tale disciplina una serie di categorie di lavoratori. Più precisamente, a partire dalla modifica introdotta con la legge 9/2014 (di conversione del d.l. 145/2009, c.d. decreto Destinazione Italia), è stato stabilito che tra le categorie di lavoratori esentati dagli obblighi, divieti ed esenzioni sanciti dal d.lgs. 66/2003 vi rientrano anche i lavoratori della polizia municipale. Ciò significa che, con riferimento agli operatori della polizia municipale, il Comune – datore di lavoro – non è gravato dalla necessità di rispettare quegli obblighi e quei divieti cui invece è tenuto, ai sensi del d.lgs. 66/2003, per il lavoro notturno prestato dagli altri suoi dipendenti (amministrativi, contabili e tecnici).
In pratica, con tale previsione legislativa di esenzione si è voluto evitare che la P.A. (nella fattispecie il Comune) incontrasse i gravami previsti dal citato d.lgs. 66/2003 proprio con riferimento a quei suoi dipendenti della polizia municipale, i quali, per la tipologia di lavoro cui sono addetti (cioè l’attività di vigilanza), sono vocati alla prestazione del lavoro notturno in modo preminente rispetto a quanto non avvenga per gli altri dipendenti comunali.
Tutto ciò comporta che, con riferimento al lavoro notturno, per i dipendenti della polizia municipale si assiste ad una deminutio di tutela della loro salute fisica e mentale rispetto a quanto invece non avvenga per i restanti dipendenti comunali.
Per questi ultimi infatti si applica sia la norma contrattuale, che garantisce la retribuzione integrativa per il lavoro notturno (art. 22 c.c.n.l. 14.9.2000), sia il d.lgs. 66/2003 che invece impone alla P.A. limiti, esenzioni, obblighi e divieti per l’espletamento del lavoro notturno e ciò a tutela della loro integrità psico-fisica dei lavoratori.
Viceversa, per la polizia municipale trova applicazione solo la norma contrattuale prevista dal citato art. 22 c.c..n.l., che si limita a fissare:
- il limite della retribuzione integrativa per il lavoro notturno, stabilendo che, per tali fini retributivi, si considera lavoro notturno solo quello prestato oltre le ore 22.00 ed entro le ore 6.00;
- il solo limite massimo di 10 turni notturni al mese, limite che peraltro può essere superato in presenza di situazioni eccezionali o di calamità.
Per questi lavoratori della polizia municipale non trovano invece applicazione i limiti, gli obblighi, le esenzioni ed i divieti sanciti dal d.lgs. 66/2003 a tutela della loro salute fisica e mentale.
In altre parole, con la riforma del 2014, che ha escluso la polizia municipale dal campo di applicabilità del d.lgs. 66/2003, si è assistito ad un vuoto normativo con riferimento alla possibilità di individuare il limite orario di inizio del lavoro notturno, cioè quella demarcazione oraria a partire dalla quale sorge l’obbligo di tutelare la salute psico-fisica degli operatori di polizia municipale.
Per meglio comprendere le ragioni di questo vuoto normativo, determinato dalla novella del 2014, si deve porre attenzione ai due interessi giuridici preminenti che si fronteggiano in merito all’espletamento del lavoro notturno.
Infatti, da un lato vi è l’interesse della P.A. a fruire della più ampia possibilità di utilizzo dei lavoratori di polizia municipale nei servizi notturni, a garanzia di una migliore tutela della sicurezza urbana. Dall’altro lato, invece, ricorre l’interesse degli stessi operatori di polizia municipale a fruire, durante il lavoro notturno, delle garanzie necessarie per la tutela della loro salute.
Evidentemente, il legislatore, nell’opera di bilanciamento tra questi due principali interessi giuridici, ha ritenuto di dare prevalenza alla necessità della P.A. di poter disporre degli organici della polizia municipale nel modo più ampio possibile durante il servizio notturno,. Per tale ragione, il legislatore ha inteso escludere la polizia municipale, come anche le forze di polizia, dal novero di operatività del d.lgs. 66/2003, atteso che l’eventuale applicazione degli obblighi, delle esenzioni e dei divieti sanciti da detto decreto comporterebbe una forte riduzione dell’organico destinabile al lavoro notturno.
3. Ricorso alla contrattazione collettiva decentrata per colmare il vuoto normativo determinato dalla novella del 2014, che ha esentato la polizia municipale dal campo di applicazione del d.lgs. 66/2003.
In presenza del sopra indicato vuoto normativo, per la tutela della salute dei lavoratori della polizia municipale rimane da considerare solo la norma residuale rappresentata dal d.lgs. 81/2008.
Tale ultima norma, però, si limita a stabilire a carico della P.A. – datore di lavoro – una serie di obblighi e di adempienze che si applicano a tutela del lavoratore anche nel caso del lavoro notturno, ma non stabilisce quando esso inizia o comunque cosa si debba intendere per lavoro notturno.
Tutto ciò significa che, in assenza di una specifica norma di legge che definisca l’inizio dell’orario notturno della polizia municipale ai fini specifici della tutela della salute psico-fisica, tale incombenza non può che essere demandata alla contrattazione collettiva.
Di certo, però, non si può fare riferimento al sopra citato art. 22 c.c.n.l. del 14.9.2000, perché, come già detto sopra, si tratta di una norma che fissa l’orario di inizio e fine del lavoro notturno (ore 22.00-6.00) ai soli fini retributivi e pertanto la sua ratio teleologica è proprio quella di garantire al lavoratore il giusto ristoro economico per il lavoro notturno. Ed invero, quest’ultima considerazione porta ad affermare che, qualora si ritenesse di poter utilizzare tale norma contrattuale per determinare l’orario di inizio del lavoro notturno della polizia municipale anche sotto il diverso profilo della tutela psico-fisica, si finirebbe per tradire in modo palese la precipua finalità della stessa norma in esame (cioè dell’ art. 22 c.c.n.l.). In altre parole, verrebbe tradita non solo la volontà soggettiva delle parti contrattuali che hanno dato vita a tale norma, ma soprattutto verrebbe elusa la stessa volontà che risulta oggettivata nella citata clausola contrattuale (cioè la tutela degli aspetti retributivi).
Fermo restando quanto appena detto, si deve altresì rilevare che l’impossibilità di ricorrere al sopra citato art. 22 c.c.n.l. deriva anche da una diversa considerazione di carattere logico-deduttiva. Infatti, qualora si dovesse ammettere l’applicabilità di tale norma contrattuale, si dovrebbe ritenere che in materia di determinazione dell’orario di inizio del lavoro notturno (finalizzato a determinare la tutela psico-fisica del lavoratore) si avrebbero due distinte discipline:
- una disciplina più restrittiva, per i lavoratori di polizia municipale, per i quali si dovrebbe infatti ritenere che, ai fini della tutela della loro salute, il lavoro notturno inizia già dopo le ore 22.00;
- una disciplina invece più permissiva, per i restanti lavoratori comunali, per i quali seguendo l’art. 2 d.lgs. 66/2003 se ne ricava che, ai fini della tutela della loro salute, il lavoro notturno inizia invece dopo le ore 24.00.
Tuttavia, l’eventuale ammissione della concorrenza di tali diverse discipline normative sulla tutela del lavoro notturno risulterebbe alquanto strana e comunque estremamente difficile da spiegare e ciò a prescindere dal principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
In questo caso, infatti, si verserebbe nell’ipotesi di una disciplina più restrittiva applicabile proprio ai quei lavoratori che, per la loro attività di vigilanza, sono naturalmente più vocati al lavoro notturno, rispetto a quanto non avvenga invece per gli altri dipendenti comunali (amministrativi, contabili e tecnici). Proprio in ragione di tale ultima considerazione di carattere logico-deduttiva rimane confermata l’impossibilità di ritenere che ai lavoratori della polizia municipale si possa applicare l’art. 22 c.c.n.l., per determinare l’orario di inizio del lavoro notturno sotto l’aspetto della loro tutela psico-fisica.
Tale conclusione rimane peraltro confermata implicitamente anche dal legislatore del d.lgs. 66/2003. Questi, infatti, esentando la polizia municipale dall’applicazione di detto decreto, ha indirettamente riconosciuto che si è in presenza di una categoria di lavoratori (gli operatori di polizia municipale) che sono vocati al lavoro notturno ed è per questa stessa ragione, come già detto sopra, che il legislatore ha inteso svincolare il loro lavoro notturno dall’osservanza degli obblighi e divieti imposti dal citato decreto. Pertanto, se questa è la finalità perseguita dal legislatore nell’esentare la polizia municipale dall’applicabilità del d.lgs. 66/2003, non si vede per quale ragione si debba andare oltre le intenzioni dello stesso legislatore, ritenendo di poter affermare che per determinare l’orario di inizio del lavoro notturno (ai fini della tutela psico-fisica) si debba fare riferimento all’art. 22 c.c.n.l., che invece rappresenta una norma più restrittiva rispetto al citato d.lgs. 66/2003.
Da quanto sin’ora detto se ne desume che per la polizia municipale, al fine di determinare l’orario di inizio del lavoro notturno sotto lo specifico aspetto della tutela psico-fisica, non trova applicazione il d.lgs. 66/2003 e nel contempo però non può nemmeno trovare applicazione l’art. 22 c.c.n.l. del 14.9.2000.
Ebbene, non potendosi applicare il d.lgs. 66/2003 e nemmeno l’art. 22 c.c.n.l., si tratta di dover ricercare nell’ambito della contrattazione collettiva la ricorrenza di un’altra norma che fissi l’orario di inizio del lavoro notturno della p.m., ai fini della decorrenza degli obblighi sanciti dal d.lgs. 81/2008 a carico della P.A. ed a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori dipendenti (anche in servizio notturno).
Tale norma però non si rinviene nella contrattazione collettiva nazionale del comparto Regioni ed Autonomie locali. Pertanto, tale circostanza impone la necessità che una norma siffatta sia demandata all’opera costantemente integratrice della contrattazione collettiva di II livello e cioè alla contrattazione aziendale. Infatti, nulla vieta che il Comune e le parti sindacali, nell’esercizio della loro piena ed incondizionata autonomia contrattuale, decidano di autoregolamentarsi in ordine alla definizione del lavoro notturno, sancendo convenzionalmente una loro condivisa disciplina anche sotto il profilo dello spatium temporis che debba ritenersi come lavoro notturno e rispetto al quale pertanto scattano le guarentigie per la tutela psicofisica dei lavoratori.
In questa sede pattizia, infatti, le parti (Comune e rappresentanti sindacali) agendo iure privatorum sono legittimate ad autolimitarsi, potendo così sancire reciprocamente gli obblighi da osservare in ordine al lavoro notturno della polizia municipale
La conclusione cui si è appena pervenuti viene indirettamente avvalorata anche dal Ministero del lavoro, il quale, come già detto sopra, con la circolare n° 8/2005 ha precisato che il rinvio fatto dal d.lgs. 66/2003 (art. 1, co. 2, lett. e), n° 2) alla contrattazione collettiva, per determinare l’orario di inizio del lavoro notturno, si deve intendere riferito non solo alla contrattazione nazionale ma anche a quella decentrata-integrativa.
D’altra parte, quei Comuni che hanno inteso istituire il lavoro notturno lo hanno fatto proprio per mezzo della contrattazione collettiva decentrata, stabilendo con essa non solo la regolamentazione cui esso rimane sottoposto detta tipologia di lavoro ma anche il suo orario di inizio e fine e quindi per ciò stesso l’arco temporale per il quale hanno vigenza le garanzie di legge per i lavoratori notturni.
4. Conclusioni
In conclusione, si può dire che per i dipendenti comunali amministrativi, tecnici e contabili è lo stesso legislatore (per mezzo del d.lgs. 66/2003) che stabilisce il periodo di inizio di lavoro notturno, nonché gli obblighi, i divieti e le esenzioni cui lo stesso lavoro è sottoposto. Per la polizia municipale, invece, la determinazione dell’ora di inizio del lavoro notturno e la sua sottoposizione a divieti ed esenzioni rimane demandata solo alla contrattazione collettiva decentrata, salvo gli obblighi all’uopo previsti dal d.lgs. 81/2008 ed il diritto alla retribuzione integrativa prevista dall’art. 22 c.c.n.l. del 14.9.2000.