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Note critiche per la modifica degli artt. 9 e 10 del decreto sicurezza, con riferimento all’ordine di accompagnamento ed al c.d. DASPO urbano.

A pochi mesi dall’entrata in vigore del D.L. n. 14 del 20 febbraio 2017, approvato definitivamente, con il voto di fiducia, il 12 aprile 2017 al Senato, il  Dott. Giuseppe MONTANA, Componente della Consulta Scientifica di IPS, quale Esperto in materia di Diritto Amministrativo e Polizia Giudiziaria, opera, non dopo averci introdotto al testo, una analisi dettagliata, non potendo mancare a puntualizzare quelle che sono subito apparse delle criticità, specialmente nella questione tecnica e applicativa della DASPO, termine mutuato dai provvedimenti nati in ambito sportivo con il fine di vietare, e dunque limitare, ad un individuo di esercitare talune libertà,  qualora si sia reso responsabile di determinati illeciti: D.A.SPO., acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive. Vediamo nello specifico l’applicazione nell’ambito del Decreto Sicurezza Urbana.

Art. 9, comma 1.

1.Divergenza tra la finalità teleologica fissata nella rubrica dell’art. 9 ed il suo contenuto dispositivo.

La rubrica con cui risulta intestato l’art. 9 precisa che le misure adottate da questa norma sono finalizzate a tutelare il “decoro di particolari luoghi”,  che peraltro vengono specificamente individuati dallo stesso art. 9.

Questa enunciazione di principio non trova però riscontro del contenuto dispositivo dello stesso art. 9 ed in  quello previsto dal  successivo art. 10 comma 2.

Ed invero, dal tenore di entrambe le norme appena citate si potrà evincere che  il legislatore,  mediante la tipizzazione della condotta prevista dall’art. 9 come illecito amministrativo, in verità  non  intende tutelare  il decoro urbano, bensì  il regolare funzionamento di alcuni pubblici servizi e mediatamente a ciò anche la stessa  sicurezza pubblica.

1.1. Confronto tra la rubrica dell’art 9 ed il suo contenuto dispositivo.

A fronte di quanto solennemente enunciato nella sua rubrica,  dall’esame del  contenuto dell’art. 9 non si evince che la norma  sia finalizzata a tutelare il decoro urbano, bensì si rileva che  la finalità della norma è quella di tutelare il regolare svolgimento di alcuni servizi pubblici o comunque di  pubblica utilità e precisamente di quei servizi che sono assicurati dalle  ferrovie, dai porti, dagli aeroporti  e dai trasporti pubblici locali.

Questa conclusione si desume in modo  evidente dal fatto che la norma risulta  strutturata in modo tale che l’illecito amministrativo  da essa  istituito sussiste solo quando la violazione dei divieti di stazionamento ovvero di occupazione previsti in detti luoghi impedisca l’accesso o la fruizione dei luoghi stessi.

Pertanto, se l’illecito amministrativo sussiste solo nel caso in cui  risulti impedito l’accesso ovvero la fruizione dei luoghi che forniscono servizi pubblici ne consegue che il legislatore, con la sua istituzione,   ha voluto garantire la regolare continuità dei servizi pubblici ivi esercitati e non il mero decoro di detti luoghi (per come invece sostenuto nella rubrica dell’art. 9).

Tale conclusione lascia dedurre che la  diversa attestazione resa in proposito dal legislatore nella rubrica dell’art. 9 ha semplicemente la finalità di evitare che l’accertamento della condotta di cui si sostanzia tale illecito amministrativo debba  rientrare nella competenza principale delle forze di polizia statuali, per devolverla invece alle polizie locali. Su tale specifico aspetto si avrà  modo di intervenire,  in modo più preciso,   nel successivo paragrafo 1.4.

1.2. Confronto tra la rubrica dell’art. 9 ed il contenuto dispositivo dell’art. 10, comma 2.

A quanto appena detto si deve,  inoltre,   aggiungere un’ulteriore argomentazione che evidenzia come in realtà la finalità ultima dell’art. 9 non sia quella di tutelare il decoro urbano, ma addirittura quella  di tutelare  la stessa la sicurezza pubblica.

In proposito, si deve  rilevare che, ai sensi dell’art. 10 (comma 2) del decreto in esame, in caso di reiterazione dell’illecito amministrativo  previsto dall’art. 9  il Questore territorialmente competente emetterà a carico del responsabile di tale reiterazione un ordine di divieto di accesso ai luoghi in cui è stato commesso e  reiterato il predetto l’illecito amministrativo (c.d. DASPO urbano).

In questa sede ciò che si vuole specificamente evidenziare consiste nel fatto che, secondo quanto previsto dal  citato art. 10, comma 2,  tale divieto di accesso sarà emesso dal Questore solo nel caso in cui “dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza”.

Ebbene, da tale ultima previsione legislativa  se ne deve dedurre che l’illecito amministrativo istituito dall’art. 9, in realtà,  non è finalizzato a tutelare il decoro urbano (come invece afferma la rubrica dell’art. 9), ma si rivolge alla tutela della sicurezza pubblica. Diversamente opinando, non si spiegherebbe per quale ragione  lo stesso illecito amministrativo (cioè quello previsto dall’art. 9) se compiuto una sola volta è finalizzato a tutelare il decoro urbano, mentre se è reiterato porta insito in sé un problema di sicurezza pubblica al punto tale  che il Questore è legittimato ad emettere un DASPO  urbano onde evitare una sua ulteriore reiterazione.

Chiaramente,  questa evidente contraddizione trova  una sua compiuta spiegazione se si riconosce che l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9, in realtà,  è finalizzato a tutelare il sicuro e regolare svolgimento dei servizi pubblici e quindi anche la stessa sicurezza pubblica. Ciò, nonostante che venga mascherato con la specifica finalità di tutela del decoro urbano,  al fine specifico di sottrarlo alla competenza dello Stato centrale e così devolverlo,  in via principale,  a quella del Comune (per come si avrà modo di vedere nel successivo paragrafo 1.4).

1.3 Divergenza tra la rubrica dell’art. 9 e la finalità di tutela di sicurezza pubblica del DASPO urbano.

Un ultimo argomento che conferma quanto appena  detto si desume dal fatto che la competenza ad emettere  il DASPO  urbano  viene riconosciuta al Questore (art. 10, comma 2) e non al Sindaco.

Ebbene, com’è noto a tutti il Questore è l’organo cui, ai sensi della l. 121/81,  compete sul piano tecnico-operativo la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Tale circostanza comporta come sua  conseguenza logica e giuridica quella per la quale i  provvedimenti emessi dal Questore sono finalizzati a tutelare il predetto bene giuridico dell’ordine e della sicurezza pubblica e non  di  certo “il decoro urbano”. Ne consegue  che anche  il DASPO  urbano si configura come un provvedimento finalizzato a tutelare la sicurezza pubblica, circostanza questa che peraltro viene confermata anche dalla lettera dell’art. 10, comma 2, laddove viene affermato che il Questore emette il   DASPO urbano solo se rileva la ricorrenza di un “pericolo per la sicurezza”.

Questa innegabile conclusione, però,  potrà essere adeguatamente valutata se si pone mente al  fatto che  l’emanazione del  DASPO urbano si concretizza  solo  nel caso di  reiterazione dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 9 e  cioè solo quando viene posta in essere una condotta che, secondo la rubrica dell’art. 9,  dovrebbe essere finalizzata a tutelare il decoro urbano e non invece la sicurezza pubblica.

Da quanto appena detto risulta evidente la discrasia ricorrente tra la rubrica dell’art. 9 (che attesta la finalità della norma di tutelare il “decoro”) ed il fatto che l’illecito tipizzato dallo stesso art. 9, se reiterato, porta  invece ad un provvedimento di tutela della sicurezza pubblica (DASPO  urbano). A sua volta, questa discrasia porta a chiedersi quale sia la ragione per la quale si debba ritenere che l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9, se singolarmente considerato, è da considerarsi   finalizzato a tutelare il  decoro urbano, mentre se reiterato muta la sua funzione (e sinanco la natura giuridica) portando ad una situazione di pericolo per la sicurezza pubblica.

Evidentemente, per risolvere questa evidente divergenza, si deve concludere che l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9, in realtà,  non ha la funzione  di tutelare il  decoro urbano, bensì  quella di garantire la sicurezza pubblica. Pertanto, l’attestazione di tutela del decoro,  riportata nella rubrica dell’art. 9,  si deve considerare come una mera fictio iuris la cui finalità recondita si deve individuare nel tentativo di sottrarre alle forze di polizia statuali la competenza principale in tale specifica materia,  per devolverla  invece alla competenza principale delle polizie locali. Su tale argomento ci si soffermerà meglio nel successivo paragrafo 1.

1.4 Correttivo proposto all’art. 9, comma1, e sue ricadute positive per i Sindaci.

Si propone di adeguare la rubrica dell’art. 9 alla sua reale finalità teleologica, che per l’appunto è quella di tutelare la regolarità continuativa dei predetti servizi pubblici e di pubblica utilità e mediatamente a ciò anche quella di tutelare   la sicurezza pubblica.

Pertanto, la rubrica dell’art. 9 potrebbe essere modificata in questi termini:

Misure a tutela e garanzia  di alcuni  servizi pubblici e di  pubblica utilità”.

Questa modifica servirà  per ristabilire la reale finalità della norma, ma soprattutto sortirà importanti effetti in tema di competenza rationae materiae.

Infatti, sino a quando il simulacro del “decoro urbano”  rimane come la  ratio teleologica  enunciata nella rubrica dell’art. 9 ne conseguirà che la competenza ad accertare l’illecito amministrativo,  istituito con tale norma,  ricadrà in via  principale sul Comune (e  quindi sulla polizia locale) e solo in via residuale sulle altre forze di polizia statuali.

Tale conclusione si desume dalla lettura in combinato disposto di due diversi elementi:

  • dall’attuale formulazione linguistica della rubrica dell’art. 9;
  • dall’art. 10, comma 1, d.l. 14/2017, laddove viene precisato che l’organo competente per  accertare l’illecito amministrativo sarà individuato ai sensi dell’art. 13 l. 689/81.

Ebbene, il comma 1 del citato art. 13 attribuisce in via principale  la competenza ad accertare tutte le violazioni amministrative agli “organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni”  amministrative. Invece,  per  tutti gli altri organi di polizia giudiziaria  il  comma 4 dello stesso art. 13 stabilisce che essi hanno solo  una competenza in via residuale (e quindi  solo secondaria) per l’accertamento di dette violazioni amministrative.

Ciò detto in via generale, ne consegue che nel caso di specie, permanendo l’attuale formulazione della rubrica dell’art. 9 d.l. 14/2017,  l’organo competente per accertare l’illecito amministrativo previsto dallo stesso art. 9 è individuabile,  in via principale,  nella polizia  municipale, mentre solo in via residuale sarà individuabile nelle forze di polizia statuali.

Questa conclusione deriva dal fatto che la ricostruzione dell’impianto normativo stabilito dal decreto sicurezza attribuisce al Sindaco ogni competenza relativa alla  tutela del bene giuridico del decoro urbano. Ed invero, l’art.  4 d.l. 14/2017 fa rientrare nell’ampia  “nozione di sicurezza urbana” anche la tutela del “decoro urbano”, facendo peraltro  configurare  tra le due nozioni un rapporto da genere a specie. Orbene, se il decoro urbano  costituisce la species del più ampio genus  della sicurezza urbana ne consegue che l’organo competente a tutelare la sicurezza urbana  sarà anche competente a tutelare il decoro urbano.

In proposito, allora, si  deve ricordare che l’art. 8 d.l. 14/2017 devolve al Sindaco (e non ad altri) la competenza  a   tutelare la sicurezza urbana. Da tale ultima previsione normativa ne consegue   che  anche la tutela del decoro urbano compete al Sindaco, circostanza questa che peraltro viene anche  confermata dagli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000 che attribuiscono al Sindaco il potere di emettere ordinanze anche in materia di decoro urbano. Mediatamente a tale competenza sindacale riconosciuta  in subiecta materia,  ne deriva che  compete alla polizia municipale, quale organo dipendente dal Sindaco, l’accertamento dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 9,  atteso  che secondo la rubrica di quest’ultima norma detto illecito è  per l’appunto finalizzato a tutelare il decoro dei luoghi.

In definitiva, la permanenza dell’attuale rubrica dell’art. 9 d.l. 14/20017 comporta,  come sua diretta conseguenza,  che la competenza ad accertare l’illecito amministrativo previsto  dallo stesso art. 9 spetta in via principale alla polizia municipale, mentre gli altri organi statuali di polizia giudiziaria avranno competenza solo residuale (quest’ultimo per effetto del comma 4 del sopra citato art. 13 l. 689/81).

L’importanza e la gravità di tale conclusione si devono rinvenire nel fatto che (come già sopra dimostrato)  l’accertamento del predetto illecito amministrativo  non è finalizzato a  tutelare il “decoro” urbano, ma in realtà  è teso a garantire la  funzionalità di pubblici servizi e più ancora la sicurezza pubblica. Tenuto conto di ciò, in definitiva,  si può affermare che la permanenza dell’attuale rubrica dell’art. 9 finisce per attribuire al  Sindaco (e quindi anche  alla polizia locale) competenze in materia di sicurezza pubblica anche se vengono mascherate con la  tutela del  decoro urbano, scaricandole  così dalla competenza dello Stato centrale a quella del Comune.

Viceversa, una volta modificata la rubrica dell’art. 9 (nel senso già sopra proposto),  si renderà  evidente che la finalità della norma è quella di tutelare il sicuro e regolare funzionamento dei  sopra indicati servizi di pubblica utilità.  Più precisamente, la sua finalità sarà  quella di tutelare un bene giuridico (per l’appunto la sicurezza della funzionalità dei pubblici servizi) alla cui tutela sono tenuti a  concorrere tutti gli organi dello Stato-ordinamento  e non solo il Comune. Pertanto,  da ciò ne conseguirà  che la  competenza per l’accertamento dell’illecito amministrativo  previsto dall’art. 9 verrà  ripartita  in via concorrente tra le polizie municipali e le forze di polizie statuali (e quindi tra il Comune e lo Stato centrale).

Tale impostazione peraltro risulterà più coerente con la nozione di sicurezza integrata disegnata dall’art. 1 dello stesso decreto sicurezza,  con la quale si vuole garantire la compartecipazione dei principali   soggetti istituzionali dello Stato ordinamento (Stato, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano e Comuni) “alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali”.

 Art. 9, comma 2

  1. Problemi connessi alla contestazione dell’ordine di allontanamento alla persona ubriaca.

L’art. 9, comma 2, stabilisce che l’ordine di allontanamento previsto  dal comma 1 trova applicazione, tra l’altro, anche per il caso di ubriachezza previsto dall’art. 688 c.p.

Ciò significa che l’ordine di allontanamento sarà emesso nei confronti della persona ubriaca che, violando i divieti di stazionamento e di occupazione previsti all’interno di alcune infrastrutture (ferroviarie, marittime, aeroportuali e di trasporto pubblico locale), ne impedisce l’accesso ovvero la fruizione.

In questo caso, il legislatore,  ricorrendo alla consolidata nozione dottrinale  di “actio libera in causa”,  ha anticipato il momento della colpevolezza dell’autore dell’illecito amministrativo al momento in cui si è posto in stato di ubriachezza. Tale anticipazione si basa  sul presupposto che l’autore dell’illecito  non aveva la coscienza e la volontà dell’azione al momento dell’illecito, ma ciò non esclude la sua responsabilità perché  si presume che tale coscienza e volontà sussistesse nel   momento in cui decideva di porsi in stato di ubriachezza.

Sin qui, pertanto, non si rilevano problemi di sorta in merito al disposto normativo dell’art. 9, comma 2.

Tuttavia, il problema si pone con riferimento al fatto che alla ricorrenza dello stato di ubriachezza all’interno delle sopra indicate infrastrutture si accompagna, come già detto, l’obbligo di emettere l’ordine di allontanamento.

Ebbene, tale ordine, secondo l’art. 10, comma 2, dovrà essere rivolto per iscritto al trasgressore e quindi si presuppone che dovrà essergli immediatamente  contestato dall’organo accertatore,  per come previsto dall’art. 14 l. 689/81. Ed invero, si presume che nel caso di specie la necessità di porre immediatamente fine alla situazione di disturbo determinata dallo stato di ubriachezza non consenta di certo la possibilità di ricorrere ad una successiva notifica dell’ordine di allontanamento. Altrimenti,  qualora si dovesse ritenere possibile una  sua successiva notifica, si posticiperebbe nel tempo l’efficacia  dell’ordine di allontanamento ed in conseguenza di ciò  si finirebbe per vanificare  la sua funzione.

Ciò detto, ci si chiede come sia possibile contestare per iscritto tale ordine di accompagnamento ad una persona ubriaca, la quale proprio  per tale ragione risulta momentaneamente priva della capacità  di intendere e di volere.

In questo caso infatti,  pur essendo l’ubriaco responsabile della condotta tipizzata dall’art. 9, comma 2  (e ciò per effetto della nozione di actio libera in causa già sopra richiamata), tuttavia non sarà capace a ricevere ed ottemperare un ordine di allontanamento,  pur se legalmente dato dalla pubblica autorità. Infatti, il predetto schema dell’actio libera in causa se è in grado di giustificare l’anticipazione della colpevolezza al momento in cui il trasgressore si è posto  in stato di ubriachezza non è però in grado di giustificare l’operazione di contestazione immediata dell’ordine di allontanamento.

Ebbene, sin qui, si sono posti problemi connessi alla legittimità dell’azione amministrativa ed alla capacità del trasgressore di ricevere atti amministrativi, pur trovandosi in una situazione di  momentaneo stato di incapacità.

A tutto ciò si deve, però,   aggiungere la ricorrenza di ulteriori problemi di  carattere operativo.

Infatti,  è poco probabile che la persona ubriaca, ricevendo l’ordine di allontanamento, si adegui allo stesso. In questo caso, ci si chiede cosa possa fare l’organo accertatore per risolvere il problema della presenza dell’ubriaco all’interno delle sopra indicate infrastrutture.

L’unica soluzione possibile sarebbe quella di individuare, per via legislativa, una figura che funga in qualche  modo da  tutore temporaneo cui consegnare l’ordine di allontanamento, con incarico di farlo eseguire, affidandogli la persona ubriaca e sancendo a suo carico una sanzione per il caso di mancato adempimento.

Evidentemente, tale figura potrà essere individuata tra i prossimi congiunti dell’ubriaco (nozione da mutuare dall’art. 307, comma 4, c.p.), ovvero tra i soggetti istituzionali che solitamente si occupano del soccorso a persone incapaci ovvero della loro tutela e custodia,  precisando che la loro  funzione cesserà  automaticamente con il  cessare dello stato di ubriachezza del trasgressore.

Con tale correttivo si risolveranno sia il problema di legittimità amministrativa che quelli di operatività esecutiva già sopra riportati

2.1. Correttivo proposto all’art. 9, comma 2.

Si propone di aggiungere dopo il comma 2,

il seguente comma 2 bis:

Nel caso previsto dall’art. 688 c.p., l’ordine di allontanamento, pure se contestato ai sensi dell’art. 14 l. 68981 al trasgressore, dovrà essere consegnato ad uno dei suoi prossimi congiunti di cui all’art. 307, comma 4, c.p. ovvero, in caso di loro assenza e/o impossibilità e/o inidoneità, ad uno dei soggetti che per incarico istituzionale si occupa del soccorso,  ovvero della tutela,  ovvero della  custodia di soggetti in stato di incapacità momentanea di intendere e di volere. Il nominativo del prossimo congiunto ovvero quello del soggetto istituzionale e della persona fisica che interviene per esso,   cui viene consegnato l’ordine di accompagnamento,  sarà indicato nello stesso ordine, all’interno del  quale dovrà anche  specificarsi:

  • che ha l’obbligo di allontanare l’ubriaco dal luogo in cui è stato commesso l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9 e di provvedere momentaneamente allo stesso ubriaco;
  • che tale suo obbligo cessa automaticamente con il cessare dello stato di ubriachezza;
  • che al cessare dello stato di ubriachezza ha l’obbligo di consegnare all’ubriaco l’ordine di allontanamento che ha ricevuto in consegna.

Il rifiuto di assumere l’incarico ovvero la  violazione degli obblighi sopra indicati sarà punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da €. 100,00 a €. 300,00.”

 Art. 9, comma 4.

  1. Inappropriata ed anacronistica attribuzione di competenze gestionali al Sindaco.

L’art. 9, comma 4, d.l. 14/2017 individua nel sindaco l’autorità competente prevista dall’art. 17 l. 689/81, cioè l’autorità che deve gestire il procedimento amministrativo finalizzato all’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dallo stesso art. 9.

Si tratta di una devoluzione di competenza che risulta inappropriata e comunque  fonte di un evidente anacronismo legislativo.

Infatti, questa attribuzione di competenza  attiene all’espletamento di attività e compiti prettamente gestionali. Ciò significa che si è in presenza di  un’attività che non rientra  tra quelle programmatorie ovvero  tra quelle tese a garantire la sicurezza delle città e che l’attuale riparto di competenze amministrative attribuisce al sindaco. Ed invero, si tratta di una competenza:

  • che non attiene all’attività di programmazione, di indirizzo e di controllo, riservata dall’art. 4 d.lgs. 165/2001 alla c.d. governance amministrativa;
  • non rientra tra le specifiche competenze riconosciute dagli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000 al sindaco, quale rappresentante della comunità locale e quale ufficiale di Governo;
  • non rientra tra quelle previste dall’art. 3, commi 16, 17, 40-44, l. 94/2009,  volte a tutelare un regolare e sicuro svolgimento della vita cittadina, mediante provvedimenti finalizzati  a reprimere illecite appropriazioni di suolo pubblico,  nonché mediante l’istituzione di ronde volontarie cittadine  di “osservazione” e “segnalazione”.

Detto ciò, ne consegue che, secondo l’attuale impianto normativo che disciplina l’organizzazione della P.A., detta competenza non andava riconosciuta al Sindaco. Tale competenza andava invece riconosciuta in capo al dirigente di quella specifica unità organizzativa  comunale che si occupa della c.d. depenalizzazione, cioè dei procedimenti amministrativi finalizzati ad emettere le ordinanze ingiunzioni di pagamento previste dall’art. 18  l. 689/81 per l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie.

In proposito, si vuole ricordare che da circa 27 anni a questa parte tutta l’esperienza legislativa riferita all’organizzazione  della P.A. si è sempre ispirata, in modo invariabile,  al principio della separazione delle competenze tra il potere politico (c.d. governance) ed il potere dirigenziale (c.d. management).

Con specifico riferimento agli enti locali, tale  percorso legislativo che ha portato alla predetta divisione di competenze è iniziato con l’art. 51 l. 142/90, per proseguire con l’art. 3 d.lgs. 29/93,  con l’art. 3 d.lgs. 80/98 e con l’art. 13 l. 265/99, per  approdare infine (allo stato attuale) negli artt.  4 e 70 (comma 6) d.lgs. 165/2001 e nell’art. 107 d.lgs. 267/2000.

Oggi, invece a fronte di tale consolidata esperienza legislativa, l’art. 9, comma 4, d.l. 14/2017,  riconoscendo al Sindaco la competenza per la gestione del predetto procedimento sanzionatorio, costituisce  un vero colpo di spugna per il quasi trentennale principio di separazione  delle competenze tra governance e management.

3.1. Inopportuna attribuzione di competenze gestionali  al Sindaco.

A quanto sopra detto sul piano prettamente normativo,  ci si permette inoltre di  aggiungere ulteriori considerazioni di opportunità, pur nel dovuto rispetto per la carica sindacale.

In proposito, si vuole rilevare che il Sindaco è l’Organo amministrativo che per antonomasia risulta il più sensibile alle c.d. istanze elettoralistiche.

Per ciò stesso, risulta anche l’organo  meno idoneo ad occuparsi di attività gestionali,  specie se di carattere sanzionatorio. Infatti,  proprio per effetto di dette refluenze elettoralistiche,  il suo agere amministrativo, riferito all’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 9,  non sempre potrà risultare del tutto sereno e non sempre potrà essere pienamente colto nella sua oggettività da parte degli stessi destinatari di detti provvedimenti sanzionatori,  ovvero da parte dei suoi avversari politici.

Ciò, soprattutto si potrebbe verificare   nei piccoli comuni,  dove tutti si conoscono e dove più facilmente possono attecchire simpatie ed antipatie personali e/o corporativistiche, con i connessi  strascichi di  diatribe elettoralistiche.

Viceversa, lasciando all’apparato burocratico la competenza per  questa specifica  materia i predetti problemi non avranno ragione di esistere. Ed invero, i pubblici dipendenti  per definizione,  sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.)  e quindi restano sempre scevri da ogni eventuale  rischio dietrologico da parte dei destinatari dei provvedimenti sanzionatori ed anche da parte degli avversari politici del Sindaco.

3.2. Correttivo proposto all’art. 9, comma 4.

Si propone di modificare l’art. 9, comma 4:

  • eliminando dal primo periodo le parole “il sindaco”;
  • sostituendo dal secondo periodo le parole “al comune competente che li destina all’attuazione di iniziative di miglioramento del decoro urbano”,

con le parole “all’ente di appartenenza dell’organo accertatore che li destina all’attuazione di iniziative di miglioramento della sicurezza integrata secondo la sua specifica competenza in materia”.

In questo modo  la competenza risulterà   devoluta non specificamente al Sindaco, bensì al Comune territorialmente competente e quindi,  al suo interno,  al dirigente dell’unità organizzativa che, in forza del regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, si occupa della c.d. depenalizzazione.

Con questa proposta di modifica  il decreto sicurezza sarà allineato alla lunga esperienza legislativa maturata e consolidatasi per quasi tre decenni, esperienza che (come già detto sopra) risulta fondata sulla separazione di competenze tra potere politico e potere dirigenziale.

Inoltre, questa modifica renderà il decreto sicurezza  più coerente rispetto al sistema di sicurezza integrata propugnato dal suo art. 1, per il quale tutti i soggetti dello stato ordinamento devono concorrere alla sua realizzazione.

Art. 10, comma 1.

  1. Mancata individuazione dell’organo competente ad emettere l’ordine di allontanamento nelle aree individuate dai regolamenti di polizia urbana.

L’art. 10, comma 1, individua l’organo competente per impartire al responsabile della violazione l’ordine di allontanamento dal luogo in cui è stato commesso l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9, commi 1 e 2.

Tale organo viene individuato nello stesso agente che accerta l’infrazione amministrativa.

Tuttavia,  il citato art. 10, comma 1, nell’individuare l’organo competente ad emettere il predetto ordine di allontanamento stabilisce che esso potrà emettere detto ordine solo nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 9, mentre nulla dice con riferimento ai casi previsti dal comma 3 del citato art. 9.

Ciò significa, che l’organo competente viene individuato per emettere l’ordine di allontanamento solo per i casi in cui l’illecito amministrativo è stato commesso all’interno di infrastrutture  ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale (che sono quelle previste dai commi 1 e 2). Mentre, per i casi in cui l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9 viene commesso nei luoghi indicati dal comma 3 dello stesso art. 9 (aree zonizzate per mezzo dei regolamenti di polizia urbana, quali: scuole, plessi scolastici, siti universitari,  musei, parchi archeologici, ecc..) il sopra detto art. 10, comma 1, non individua quale sia l’organo competente per emettere l’ordine di allontanamento.

Nemmeno è pensabile ritenere che il decreto  sicurezza non preveda l’ordine di allontanamento per le predette aree zonizzate (cioè quelle previste dal comma 3 dell’art. 9).

Infatti,  proprio il comma 3 appena citato stabilisce in modo espresso che in dette aree  si applicano le disposizioni previste dai commi 1 e 2 dell’art. 9.  Ebbene, per effetto di tale  richiamo normativo,  anche alle aree zonizzate dai regolamenti di polizia urbana si applicano non solo la sanzione amministrativa pecuniaria ma anche l’ordine di allontanamento.

In conclusione, l’art. 10, comma 1, ha dimenticato di individuare l’organo competente ad  impartire al responsabile della violazione amministrativa  l’ordine di allontanamento nel caso in cui l’illecito amministrativo sia stato commesso in uno dei luoghi indicati dal comma 3 dell’art. 9, quali: scuole, plessi scolastici, siti universitari,  musei, parchi archeologici, ecc… .

4.1. Possibilità di rimediare alla predetta dimenticanza legislativa mediante un’interpretazione estensiva dell’art. 9, comma 1, che però darebbe luogo a numerosi problemi interpretativi.

In verità, rebus sic stantibus,  operando un’interpretazione alquanto estensiva  dell’art. 9, comma 1, sussisterebbe anche la possibilità di superare tale dimenticanza legislativa. In questo caso, però, dovrebbe operarsi  un lavoro di ricostruzione normativa basato sulla lettura in combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 9,  in relazione all’art. 10, comma 1.

Ed invero, il comma 1 dell’art. 9 stabilisce che l’ordine di allontanamento deve essere emesso “nelle forme e con le modalità di cui all’art. 10”. Mentre,  il comma 3 dello stesso art. 9 stabilisce che alle aree individuate  dai regolamenti di polizia urbana “si applicano le disposizioni dei commi 1 e 2”.

Ebbene, il richiamo operato dal comma 3  dell’art. 9 rispetto all’applicazione delle  “disposizioni del comma 1” consente di poter affermare che anche nelle aree individuate dai regolamenti di polizia urbana l’ordine di allontanamento si applicherà “nelle forme e con le modalità di cui all’art. 10”.  Ciò significa che anche in dette aree previste dal comma 3 (cioè quelle zonizzate dai regolamenti di polizia urbana) l’ordine di allontanamento deve essere impartito  con la forma scritta,  deve contenere quelle specifiche indicazioni previste dallo stesso art. 10, comma 1, ed infine deve essere trasmesso ai soggetti istituzionali indicati da tale ultima norma (Questore e servizi socio-sanitari).

Ebbene,  qualora si ritenesse di poter operare  un’interpretazione del  tutto estensiva del citato art. 9, comma 1,  relativamente alla parte in cui viene affermato che l’ordine di allontanamento si applicherà “nelle forme e con le modalità di cui all’art. 10”,  si potrebbe anche affermare che l’espressione  “con le modalità di cui all’art. 10”  sia  riferita non solo alle modalità attuative dell’ordine di allontanamento ma anche all’individuazione dell’organo competente per la sua emissione. In tal caso, pertanto,  anche per le aree previste dall’art. 9, comma 3, verrebbe individuato nell’agente accertatore l’organo competente ad emettere l’ordine di allontanamento.

E’ evidente però che si tratterebbe di un’interpretazione alquanto estensiva ed in verità piuttosto forzata,  in quanto le parole “le modalità di cui all’art. 10” si dovrebbero intendere riferite non solo alle modalità  attuative dell’ordine di allontanamento ma anche all’organo competente per la sua emanazione, cosa che in effetti la lettera della norma non dice.

In tale caso, pertanto, sarebbe inevitabile  il sorgere di numerosi problemi interpretativi con gli immancabili contenziosi giudiziari.

Di conseguenza,  si impone la necessità di una chiarificazione legislativa che elimini le immancabili disquisizioni giuridiche che potrebbero sorgere su tale argomento. Tale chiarificazione potrà essere raggiunta rendendo evidente ed incontestabile  che l’organo individuato dall’art. 10, comma 1, per emettere l’ordine di allontanamento è munito di tale competenza non solo per i casi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 9 ma anche per i casi previsti dal comma 3 della stessa norma.

4.2. Correttivo proposto all’art. 10, comma 1.

Pertanto, si propone di sostituire all’art. 10, comma 1, primo periodo, le parole  “di cui all’art. 9, comma 1, secondo periodo e comma 2”

con le seguenti parole:

di cui all’art. 9, comma 1, secondo periodo e   commi 2 e 3”.

In questo modo l’art. 10, comma 1, avrà  individuato in modo chiaro  ed evidente   l’organo competente ad emettere l’ordine di allontanamento anche nei casi in cui l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9 sia stato commesso nelle aree zonizzate dai regolamenti di polizia urbana (cioè nei casi previsti dal comma 3 dell’art. 9).

Art. 10, comma 2, prima parte.

  1. Mancata individuazione dell’Organo compente ad emettere il c.d. DASPO urbano nelle aree individuate dai regolamenti di polizia urbana.

L’art. 10, comma 2, stabilisce che il Questore potrà emettere il c.d. DASPO urbano solo quando l’illecito amministrativo venga posto in essere e reiterato  in uno dei luoghi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 9.

Da tale previsione legislativa (art. 10, comma 2) ne deriva che il Questore è legittimato ad emettere il DASPO urbano solo quando l’illecito amministrativo viene commesso e reiterato all’interno di infrastrutture ferroviarie, marittime, aeroportuali e di trasporto pubblico locale (previste dai commi 1 e 2 dell’art. 9).

Mentre,  l’art. 10, comma 2,  non richiamando il comma 3 dell’art. 9, non attribuisce  al Questore il potere di emettere il DASPO  urbano  per il caso in cui l’illecito amministrativo viene commesso e reiterato nelle aree previste dal comma 3 dell’art. 9,  cioè nelle aree individuate dai regolamenti di polizia urbana (scuole, plessi scolastici, siti universitari, musei, parchi archeologici, ecc…).

Tale silenzio legislativo potrebbe anche indurre a ritenere che nelle aree zonizzate dai regolamenti di polizia urbana non sia addirittura possibile emettere il c.d. DASPO urbano.

Tuttavia, tale ultima  conclusione  potrebbe anche essere superata rilevando che  l’art. 10, comma 2, precisa che il divieto di accesso può essere emesso dal Questore  con riferimento “ad una o più delle aree di cui all’art. 9”. Questa specifica previsione legislativa  potrebbe indurre a ritenere  che l’art. 10, comma 2, richiama l’art. 9 nel suo complesso (cioè comprendendo cioè anche le aree zonizzate previste dal suo comma 3), con la conseguenza di poter ritenere che  il DASPO  urbano possa essere emesso  anche con riferimento alle aree individuate dal  comma 3.

Da quanto sopra  detto ne derivano due importanti conseguenze.

In primo luogo, il mancato richiamo del comma 3 dell’art. 9 da parte dell’art. 10, comma 2, sicuramente comporta la mancata individuazione  dell’organo competente ad emettere il DASPO urbano nelle aree individuate dai regolamenti di polizia municipale. Inoltre, tale mancato richiamo normativo rende alquanto  dubbiosa e problematica la questione volta ad accertare se per le aree individuate e dai regolamenti di polizia urbana  (cioè quelle indicate dal comma 3) sussista  o meno la possibilità di emanazione del  DASPO  urbano.

Risulta evidente la necessità di individuare l’Organo competente ad emettere il  DASPO urbano anche per le aree previste dal comma 3 dell’art. 9, cioè per le aree zonizzate dai regolamenti di polizia urbana. Infatti, la sua individuazione servirà per porre rimedio ad una dimenticanza legislativa riferita all’individuazione dell’organo competente ad emettere il DASPO urbano nelle aree previste dal citato comma 3. Inoltre,   porrà anche fine  alla questione volta a chiarire se il DASPO  urbano possa essere emesso anche nelle  predette aree zonizzate.

Tale organo potrà essere individuato nello stesso Questore, rendendo così omogenee le diverse ipotesi di DASPO previste dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 9.

5.1. Correttivo proposto all’art. 10 comma 2, prima parte.

Si propone di sostituire all’art. 10, comma 2, prima parte  le parole

Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all’art. 9, commi 1 e 2

con le seguenti parole:

Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all’art. 9, commi 1,  2 e 3”.

In questo modo si sortirà l’effetto di estendere  il potere del   Questore (territorialmente competente)  di emettere  il  DASPO urbano anche nei casi in  cui l’illecito amministrativo previsto dall’art. 9 si riferisca alle aree zonizzate dai regolamenti di polizia urbana.

Art. 10, comma 2, seconda parte.

  1. Difficoltà interpretative volte a verificare i luoghi per i quali può essere emesso il DASPO urbano.

L’art. 10, comma 2, nella  sua seconda parte  stabilisce che  il Questore dovrà indicare nel  DASPO  urbano “il divieto di accesso ad una  o più delle aree di cui all’art. 9, espressamente specificate nel provvedimento”.

La formulazione linguistica di questa norma risulta piuttosto generica ed imprecisa, in quanto non chiarisce se il DASPO urbano debba essere emesso:

  • per i soli luoghi previsti dall’art. 9 nei quali è stato commesso o reiterato l’illecito amministrativo;
  • ovvero anche per i luoghi ubicati nei Comuni di residenza o domicilio del trasgressore, anche quando tali luoghi non coincidano con quelli di perpetrazione e reiterazione dell’illecito;
  • ovvero anche per i luoghi ubicati in altri Comuni del territorio italiano, nei quali  il Questore con provvedimento motivato possa riscontrare la sussistenza di ragioni di sicurezza.

Pertanto,  nel dubbio si correrà il rischio di ricorsi e contenziosi vari che renderanno piuttosto pesante l’iter di emanazione del  DASPO  urbano. In presenza di tale situazione si pone la necessità di una chiarimento legislativo che elimini in radice ogni dubbio interpretativo della norma in esame.

6.1. Correttivo proposto all’art. 10, comma 2, seconda parte.

Si propone di aggiungere all’art. 10, comma 2, seconda parte,  dopo le parole

il divieto di accesso ad una  o  più delle aree di cui all’art. 9, espressamente specificate nel provvedimento

le seguenti parole

ed ubicate nel territorio nazionale

In tal modo si chiarirà  che il  DASPO  urbano può essere emesso con riferimento non solo ai luoghi previsti dall’art. 9 ed  ubicati nei Comuni in cui il trasgressore risiede, ovvero è domiciliato,  ovvero in cui ha commesso e reiterato l’illecito amministrativo,  ma anche con riferimento ai luoghi ubicati in  altri Comuni del territorio italiano  per i quali il Questore,  con provvedimento motivato,  riterrà che ricorrano ragioni di sicurezza.

Art. 10, comma 4.

  1. Mancanza di una sanzione specifica per la violazione del DASPO urbano.

L’art. 10, comma 4, prevede che al DASPO  urbano, in quanto compatibili, si applichino le stesse regole previste dall’art. 6, commi 2 bis, 3 e 4 della l. 401/89, che disciplina  il c.d. DASPO  sportivo.

Il richiamo a  queste norme di legge consente di applicare al   DASPO  urbano le stesse regole sulle prescrizioni che il legislatore detta e consente di inserire all’interno del c.d. DASPO sportivo.

Tuttavia, si deve rilevare che l’art. 10, comma 4, da un lato si preoccupa di richiamare le norme sulle prescrizioni previste per il  DASPO  sportivo (art. 6, commi 2 bis, 3 e 4), mentre dall’altro lato non richiama il comma 6 del citato art. 6 l. 401/89, cioè la norma che sancisce la ricorrenza di una sanzione penale nel caso di violazione del  DASPO  sportivo.

Tale mancato richiamo normativo comporta,  come sua diretta conseguenza,  che in caso di violazione del  DASPO urbano  non ricorre una specifica sanzione penale (e nemmeno di altro genere) da poter irrogare. Tale conclusione  costituisce il diretto portato del principio nulla poena sine lege, principio che,   in sede di illecito amministrativo,  risulta sancito dall’art. 1 l. 689/81, mentre in sede penale è sancito dall’art. 25, comma 2, Costituzione e dagli artt. 1 e 199 c.p. .

Ciò detto, ne consegue che in mancanza di una specifica norma sanzionatoria (sia penale che amministrativa)  l’unica sanzione applicabile alla violazione del  DASPO urbano rimane quella prevista dalla norma residuale dettata dall’art. 650 c.p. .

Tuttavia, com’è noto, l’effetto deterrente di tale sanzione penale non  risulta particolarmente forte, stante che la fattispecie tipizzata dall’art. 650 c.p. costituisce un reato di natura contravvenzionale punito con l’arresto fino a tre mesi, ovvero con l’ammenda sino a 206 euro. Mentre, la sanzione penale prevista dall’art. 6, comma 6, l. 401/89 per la violazione del DASPO  sportivo risulta avere un maggior effetto deterrente, stante che detta norma tipicizza un delitto (e non una contravvenzione) punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da €. 10.000 a  €. 40.000.

Pertanto, al fine di rendere effettivo e concreto l’effetto deterrente che obbligatoriamente  si deve accompagnare ai casi di violazione del  DASPO  urbano,  è necessario non accontentarsi di una semplice sanzione di carattere residuale, qual è per l’appunto quella prevista dall’art. 650 c.p., ma bisogna introdurre una sanzione specificamente destinata a reprimere tale condotta.

Questa sanzione,  per  affinità di materia, potrebbe essere individuata  nella stessa sanzione penale che punisce la violazione del DASPO  sportivo (art. 6, comma 6, l. 401/89), ovviamente apportandovi le riduzioni di pena richieste dai principi – di matrice costituzionale –  di proporzionalità e ragionevolezza.

Correttivo proposto all’art. 10, comma 4.

Si propone di sostituire all’art. 10, comma 4, le parole

le disposizioni di cui all’art. 6, commi 2-bis, 3 e 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401

con le seguenti parole:

le disposizioni di cui all’art. 6, commi 2-bis, 3, 4 e 6, primo periodo, della legge 13 dicembre 1989, n. 401. Le sanzioni penali previste dal richiamato comma 6, primo periodo,  vengono ridotte di due terzi”.

Con la modifica proposta verrà introdotta una sanzione penale specifica per  il caso di violazione del  DASPO urbano. Tale sanzione, per la sua natura di delitto e per la misura della pena,  avrà maggiore  forza deterrente di quanto non ne possa invece produrre la sanzione residuale prevista dal sopra citato art. 650 c.p.

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