Il TSO: quale “trattamento”? Sanitario o di Polizia?
…storia di un percorso “culturale”… resistente.
Il problema della “diversità” o “follia”, è stato, fino a non molto tempo fa, affrontato e risolto in funzione del solo benessere sociale, approccio questo che ha avuto ripercussioni sul trattamento del malato dando origine alla sua emarginazione, avvenuta mediante la realizzazione di edifici situati alle estreme periferie delle città, circondati da mura imponenti i cui destinatari erano affidati a personale sanitario che per lo più svolgevano compiti di contenzione e controllo, erano in definitiva dei “guardiani” e “carcerieri”, non certo per loro volere. Nascono i manicomi. Avevamo trattato l’argomento ampiamente qui http://www.iprofessionistidellasicurezza.it/2016/03/25/il-tso-torni-alloriginario-scopo-un-trattamento-sanitario-3/. Si dovette attendere l’intervento dello Psichiatra Franco Basaglia affinchè si restituisse, non solo una identità ormai perduta perchè i rinchiusi diventavano un numero, quello impresso sulle loro camicie (di forza), ma soprattutto il diritto alla cura. Dichiarava Basaglia: “Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.” Nonostante siano passati anni da quel lontano 13 maggio 1978 in cui fu approvata la Legge 180, e che istituiva gli “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori“, la situazione attuale presenta molte criticità, e lo si deduce ampiamente anche dall’affermazione del Dr. Fabrizio Starace, Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica:
“Occorre riaffermare con chiarezza che il ruolo dello psichiatra, come di qualsiasi altro medico, è terapeutico, non coercitivo e la scelta di privare una persona della propria libertà non può essere conseguenza delle disfunzioni del sistema di cura che ne dovrebbe garantire la salute”.
Questa redazione IPS, attraverso la Criminologa e Dott.ssa in Psicologia Clinica Dinamica e della Salute, Monica Di Sante, interessata alla corretta applicazione delle norme che prevedono il ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio, è per un Trattamento Sanitario che deve essere eseguito al fine di garantire il diritto alla salute del paziente psichiatrico. A IPS-I Professionisti della Sicurezza non è mancato di osservare le criticità e le carenze atte a regolare tutto l’iter esecutivo. Per questa ragione si è spinta a segnalare, al fine di limitare il carico di responsabilità degli operatori della Polizia Locale e degli operatori del 118 rispetto alle conseguenze che possono derivare da azioni improprie e non corrispondenti alle loro funzioni e ai loro compiti istituzionali nell’esecuzione del provvedimento sindacale del T.S.O. Per questa ragione sì è chiesto, mediante una lettera indirizzata a diverse Autorità dello Stato, di rivedere “le direttive” emanate per il suddetto Trattamento e, quindi, trovare idonee soluzioni per evitare che possano di nuovo accadere tragici eventi in danno dell’ammalato e/o degli operatori, attraverso l’esecuzione di azioni non dettate da un chiaro riferimento normativo e secondo un protocollo interfunzionale specifico.
Secondo i dati rilasciati dalla Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP), negli ultimi cinque anni, i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) sono scesi di circa 3000 unità, un trend in calo in tutte le regioni eccetto la Toscana. La maggior concentrazione di provvedimenti si sono riscontrati in Sicilia. Ma come interpretare questo dato in apparenza positivo? Non sotto il segno dell’ottimismo. Secondo il Presidente della SIEP, infatti, la riduzione appare associata alla scarsa accessibilità dei sistemi di cura, più che all’adozione di adeguate modalità di presa in carico territoriale. In altre parole, si ricorrerebbe alle misure coercitive perché gli psichiatri del SSN non hanno il tempo a causa della mancanza di personale e/o strutture sufficienti per adottare tempestive e idonee misure sanitarie extra-ospedaliere. In pratica, ad oggi il malato psichiatrico si sostanzia in un individuo incapace di comprendere la necessità delle cure, che resta in balia del suo malessere per così lungo tempo che poi solo con il trattamento coercitivo si può riparare, ovvero mediante un trattamento in emergenza/urgenza psichiatrica che lo si può curare.
“…Il vero antidoto all’uso di pratiche coercitive sia la presenza di personale competente e motivato, che disponga del tempo necessario a stabilire una relazione fiduciaria e promuovere la volontarietà del trattamento”.
Torniamo dunque, con il sottolineare il vero limite nel TSO che è quello di un retaggio culturale dove il malato psichiatrico è davvero considerato un malato di serie B se ancora oggi siamo qui a leggere la “denuncia” di Starace e di tutti quei poliziotti che non sanno come poter intervenire adeguatamente su un individuo che non è sottoposto a provvedimenti a carattere di polizia “giudiziaria” ma “amministrativa sanitaria”, volta cioè ad obbligare alla cura. Torniamo a sottolineare con vigore che qui di OBBLIGATORIO C’E’ SOLO IL TRATTAMENTO SANITARIO E NON DI POLIZIA!

Fonte: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=49327