Il web 2.0 ha rivoluzionato il modo di comunicare, collaborare, condividere, scambiare informazioni virtualmente e ovunque. Ci consente di linkare, postare, etichettare, localizzare, georeferenziare, socializzare e partecipare. Ci consente di esprimere in libertà le nostre idee e di ottenere contenuti in base alle nostre preferenze.
La potenza del mezzo è indiscussa. Basti pensare al tempo impiegato dai maggiori mass media per raggiungere 50 milioni di utenze. La radio ha impiegato 38 anni, la tv 13, internet 4, iPod 3 mentre facebook ha raggiunto 100 milioni di utenti in 9 mesi ed adesso ne vanta 350 milioni attivi in tutto il mondo. In Italia l’87% degli utenti usa i social media per rafforzare i rapporti di lavoro, il 58% della popolazione guarda meno TV e più video in rete. Youtube, il secondo motore di ricerca più utilizzato al mondo, vanta 1 miliardo di video visualizzati ogni giorno. Wikipedia mette a disposizione oltre 10 milioni di articoli in 250 lingue ed alcuni studi dimostrano che questi articoli sono più accurati dell’Enciclopedia Britannica. Ci sono più di 200 milioni di blog dove quotidianamente vengono riversati fiumi di post, molti dei quali recensioni su articoli in vendita che le aziende considerano dati importantissimi per il proprio business, tanto da non considerare più come primo obbiettivo il posizionamento sui motori di ricerca, ma le opinioni che arricchiscono i post, il numero di tweet su twitter, il numero di commenti positivi sul video di Youtube.
Le generazioni Y e Z, i così detti nativi digitali, considerano l’email obsoleta, mettono al centro di tutto la condivisione sociale dell’informazione, la collaborazione nel creare contenuti digitali tipici del web 2.0. Nell’ultimo trimestre il numero di contenuti fruiti e condivisi mediante dispositivi mobili è aumentato considerevolmente. Le piramidi di produzione risultano oramai fallimentari rispetto il modello aperto della collaborazione.
Il web 2.0 non è una moda da seguire, ma un modello dal quale prendere spunto
Non tenere conto di questa evoluzione digitale nelle logiche di comunicazione e di erogazione dei servizi pubblici, vuol dire lasciare fuori fasce di utenti sempre più ampie ed aumentare irreparabilmente il distacco tra cittadino e PA. Sono pochissime le pubbliche amministrazioni italiane che pubblicano con sufficiente frequenza video su Youtube o contenuti su Facebook, che georeferenziano su google maps contenuti di approfondimento. Sembra che le PA italiane non hanno fatto proprie le idee che influenzano e caratterizzano la “rivoluzione digitale”. Da indagini condotte da FORUM PA infatti, emerge che l’attività principale svolta dagli utenti durante la consultazione dei siti pubblici è finalizzata principalmente a ricevere informazioni (76%) o scaricare moduli (11%).
Manca, insomma, nella PA italiana una marcia evolutiva, la voglia di orientarsi al cittadino, la capacità di ascoltare gli utenti per misurare la qualità dei servizi e per orientare le scelte delle amministrazioni.
Il web 2.0 non è una moda da seguire, ma un modello dal quale prendere spunto. La forza di organizzare le informazioni, di scambiarle in maniera automatica, di accorciare le distanze fra le persone e gli enti pubblici, di trasformare la comunità da spettatrice a protagonista (concetto di crowdsourcing), deve necessariamente esser messa al “servizio” della pubblica amministrazione e del cittadino.
Il web collaborativo è un mezzo perfetto per convogliare l’intelligenza collettiva, per consentire al cittadino partecipativo di segnalare alla pubblica amministrazione fenomeni di inciviltà , degrado urbano e farlo in maniera “wiki”. Fornisce uno strumento che in maniera rapida consente sia di georeferenziare la segnalazione di un cittadino attento e nel contempo, condividere questa informazione con la Polizia Municipale che collabora insieme ai gestori dei servizi alla risoluzione del problema.
La sicurezza del territorio e della circolazione, la manutenzione delle strade e dell’arredo cittadino, il decoro urbano sono tematiche che possono essere trattate, monitorate e gestite utilizzando il principio del geotagging, ovverosia sfruttare le potenzialità del web 2.0 per relazionare delle informazioni definite metadata a delle coordinate geografiche. Così un punto sulla mappa racchiude in se non solo un’indicazione stradale ma una serie potenzialmente infinita di informazioni testuali e multimediali che consentono di sviscerare e risolvere il problema in tempi ridotti.