Lo sanno molto bene gli operatori di polizia qual’è la pratica più diffusa tra i conducenti consapevoli di aver assunto alcool durante la guida. Al controllo etilometrico cercano inutilmente di vanificare l’accertamento immettendo poca aria nell’apparecchiatura, che poi dichiarerà “volume insufficiente”. E’ una scappatoia inutile perchè si vedranno comunque comminare la sanzione per guida in stato d’ebbrezza (Art. 186 comma 2) quando è presente una sintomatologia che evidenzia uno stato di ubriachezza e/o il rifiuto di sottoporsi all’accertamento, che si palesa proprio nella non volontà di soffiare sufficientemente (fatte salve le patologie che di fatto impediscono un tale esercizio). La giurisprudenza su questo punto è chiara: ritiene valido l’accertamento con alcoltest anche qualora il volume risulti insufficiente. Con sentenza 6636/2017 del 13 febbraio 2017 la Quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha riconosciuto probante la misurazione con volume insufficiente in quanto si può escludere un non corretto funzionamento dell’etilometro a partire dalla dicitura stessa, per cui l’accertamento è valido e di conseguenza la sanzione. A dover dimostrare il non funzionamento dell’apparecchiatura deve essere il conducente in considerazione che queste risultano omologate per rilevare e misurare la presenza di alcol.
Nell’esprimersi la sezione IV riepiloga ciò che nel tempo si è andato ad affermare e convenendo sull’ultimo punto:
- si ritiene che ci sia un’insanabile contraddizione fra la dicitura «volume insufficiente» e l’attendibilità della misurazione;
- si presume che, se il guidatore non dimostra che ha un problema di salute tale da impedirgli di soffiare correttamente, il volume insufficiente indica la volontà, da parte dello stesso, di inficiare la misurazione e dunque si ricadrebbe nel reato di rifiuto di sottoporsi ad alcoltest, (posizione intermedia);
- si considera possibile che il risultato sia valido anche con volume insufficiente e quindi sta al giudice motivare la sua decisione di riconoscere pieno valore al risultato del test.
La conclusione cui arriva la Cassazione nella sentenza 6636/2017 del 13 febbraio 2017 è più vicina a quest’ultimo orientamento e lo dettaglia riprendendo una delle pronunce più recenti (la 40709/2016): in sostanza, occorre rifarsi al Dm 196/1990, che detta i requisiti di omologazione degli etilometri. L’allegato al Dm, per il combinato disposto dei punti 2.5 e 3.5.1, secondo la Corte afferma che la misurazione è corretta ogni qualvolta il display dell’apparecchio indica il valore rilevato. Dunque, il fatto che sullo schermo appaia anche la scritta «misurazione insufficiente» «prova solo il fatto che la quantità d’aria» soffiata è stata «minore di quella occorrente per una misurazione ottimale». La scritta va interpretata solo come un «messaggio di servizio» (previsto anch’esso dal Dm) e non come un «inequivocabile messaggio di errore».
Se ne deduce che per difendersi resta solo la via più difficile: una perizia che, a prescindere dal volume insufficiente, mostri i limiti del principio di funzionamento dell’etilometro.
La Corte ribadisce quindi, se si ritenesse non utilizzabile il valore misurato, si dovrebbe configurare il reato di rifiuto del test: «in assenza di patologie che abbiano impedito di effettuare al meglio il test…è evidente che ci troviamo di fronte a un comportamento volontario». Sentenza di Cassazione n° 6636/2017 del 13 febbraio 2017. Se è insufficiente la quantità d’aria lo deve essere per una ragione precisa: volontarietà a non emettere aria a sufficienza o una patologia che ne impedisce l’azione.