A parere dell’ISTAT, nel resoconto rilevazioni 2015, il consumo di alcool è risultato in calo negli ultimi 10 anni, ma purtroppo, la nota tragica, è che il modello di consumo tradizionale, basato sulla consuetudine di bere vino durante i pasti con frequenza giornaliera, è cambiato in favore di quote sempre maggiori di popolazione passate progressivamente a bere alcolici al di fuori dei pasti. Cambiano i modi, i tempi e le circostanze di assunzione delle sostanze alcoliche.
Quali sono le occasioni per bere?
Si chiama binge drinking la nuova modalità di assunzione di alcool, che nel corso di questi ultimi anni è aumentato raggiungendo quota 26,9% della popolazione nel 2014, a fronte del 25,8% registrato nel 2013. Ma il dato veramente sconvolgente è che il 35% dei consumatori è rappresentato dagli adolescenti. A preoccupare le autorità sanitarie è soprattutto l’aumento del consumo che, per quanto occasionale, avviene per grandi quantità di alcool assunto lontano dai pasti. Il binge drinking si sostanzia nell’assunzione di più drinks in un intervallo di tempo minimo: 5-6 drinks in rapida successione per gli uomini e 4 drinks per le donne. A formulare questo costrutto fu Weshsler, uno psicologo americano nel 1992, in uno studio epidemiologico condotto in alcuni college del Massachusetts. Con questa osservazione scientifica arrivo’ a determinare l’esistenza di questo comportamento d’abuso di ingestione di alcool in rapida sequenza. Per poter affermare, dunque, che si tratti di binge drinking occorre che vi sia un certa quantità di alcool, stima che varia da Paese a Paese. Questi parametri, cioè, variano a seconda dello Stato, ovvero dell’ambiente culturale: ad esempio in Svezia si parla di 1/2 bottiglia di super alcolici o 2 bottiglie di vino nella stessa occasione (Hansagi et al, 1995). Tra i giovani italiani troviamo che le bevande che vanno per la maggiore sono la birra (45%), a seguire i superalcolici (19%), amari e aperitivi (13%) che superano il vino (12%).
Chi è il binge drinker?
La prima intossicazione alcolica si verifica intorno ai 13 anni, il comportamento di abuso tende ad aumentare durante l’adolescenza, con un picco massimo tra i 18 e i 22 anni, e poi tende a diminuire. A partire dagli studi di Weshsler, il binge drinker viene identificato in una tipologia: maschio, universitario, 24 anni, studente fuori sede che alloggia in college o in una casa dello studente. Successivamente si è accertato che chi durante le scuole secondarie ha dei comportamenti di binge drinking ha poi una probabilità piu’ che triplicata di diventare binge drinker quando inizierà a frequentare l’università (Baiocco et al., 2008).Conseguenze dovute all’abuso
L’uso prolungato di queste sostanze, ancora di più se associate a droga, causa una riduzione dei neuroni e delle loro connessioni. Determina cioè una perdita di peso cerebrale (la cosiddetta atrofia cerebrale) per un assottigliamento della sostanza grigia (riduzione dell’intelletto) e un ridotto volume della sostanza bianca (rallentamento della comunicazione neuronale). In altre parole, si verifica un precoce invecchiamento del cervello con sintomi simili alle demenze presenti nelle persone anziane (demenza d’Alzheimer), sindromi neurologiche, malattie cerebrovascolari e maggiore rischio di ischemie ed emorragie cerebrali.
I danni possono tranquillamente tradursi in un modello di ‘buchi’ nel cervello come quelli riscontrabili nel morbo di Alzheimer. Attraverso l’uso di tecniche di neuroimmagine, come la risonanza magnetica (RM) e la tomografia ad emissione di positroni (PET), che permettono la visualizzazione in vivo delle strutture cerebrali, è possibile stimare i danni cerebrali in chi fa uso di droghe ed alcol.
A seguire si propone una immagine di risonanza magnetica encefalica, che meglio rende l’idea delle conseguenze dell’abuso di sostanze alcoliche: la tonalità di colore blu indica il livello di attività cerebrale. Sul lato destro si può vedere un cervello danneggiato. Nelle zone nere, il cervello è totalmente inattivo. Si nota, inoltre, che nelle zone blu attive che funzionano ancora, c’è una generale diminuzione di luminosità: anche la funzionalità dei neuroni che sono ancora attivi risulta compromessa.
A ciò si aggiunga che il consumo smodato di alcol può avere effetti deleteri sia sul fegato, che pancreas per cui l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), raccomanda la totale astensione dall’alcol almeno fino ai 16 anni.
Le campagne di sensibilizzazione dovrebbero, quindi, essere mirate a mostrare le condizioni degli individui che di fatto presentano questa perdita neuronale, della loro difficoltà ad usare le normali facoltà intellettive. Un malato di Alzheimer dunque è analogo a livello di facoltà cerebrali di un alcolista cronico, con l’unica differenza che il malato di Alzheimer subisce le condizioni di malattia involontariamente, non si è ridotto ad un deficit cognitivo per sua scelta. L’alcool non è affatto un alleato della nostra salute!