Nel sistema giuridico attuale si parla di interrogatorio esclusivamente come di un atto tipico con cui il Giudice e il Pubblico Ministero acquisiscono dall’indagato dichiarazioni relative al suo coinvolgimento nel reato. Al fine di evitare confusione nell’uso dei termini, dovendo differenziare tra due diverse tecniche di ricezione di informazioni utili alle indagini, assumiamo che la P.G. non interroga a meno di delega dell’Autorità Giudiziaria, ma effettua tecnicamente ciò che denominiamo un’intervista di Polizia, la cd “Intervista Investigativa” mutuata dalla Psicologia Investigativa.
Con il metodo dell’ “Intervista Investigativa” si deve intendere il colloquio di polizia come forma di indagine in cui la raccolta dati avviene attraverso un processo di comunicazione verbale (cfr. Galimberti 2006) tra l’investigatore di polizia, che deve essere mosso dall’interesse a conoscere gli accadimenti e la persona sentita. Tali informazioni, dal punto di vista strettamente giuridico, possono vedere una trasposizione scritta nelle S.I. se d’iniziativa, o nel verbale di “Interrogatorio” se l’ascolto è delegato dalla A.G., ma sia che si interroghi un soggetto, o si assumano informazioni ai sensi degli artt. 350 e 351 c.p.p., l’approccio metodologico deve essere quello dell’intervista e non del sorpassato metodo dell’interrogatorio, perchè il rischio di inficiare le risultaze investigative usando quest’ultima tecnica, è molto alto.
Premesso che in ogni fase dell’indagine è necessario acquisire le informazioni in modo formalmente ineccepibile, in quanto solo ciò garantisce la loro piena utilizzabilità in fase processuale, ciò che è fondamentale, in questo senso, è il rispetto della corretta modalità con cui una “confessione” è stata raccolta e di come dovrà essere poi documentata in fase processuale.
In base all’Art. 188 c.p.p. (sulla “libertà morale della persona nell’assunzione della prova”) le dichiarazioni non possono essere forzate, né estorte con minacce o violenze ma devono essere rese assolutamente libere. Da ciò deriva il divieto dell’uso di mezzi illeciti o scorretti nell’ interrogatorio, ma anche nell’ assunzione di informazioni ovviamente, come il ricorrere, ad esempio, a tranelli psicologici. In altre parole non è lecito usare «mezzi subdoli d’interrogatorio» ovvero l’utilizzo di stratagemmi psicologici tesi ad aumentare la vulnerabilità del soggetto, per esporlo il più possibile al controllo di chi lo interroga.Per tranelli psicologici bisogna intendere:a) esagerare o minimizzare la gravità del reato,b) suggerire motivazioni non vergognose per il reato commesso,c) solidarizzare con l’indagato,d) far indicare a dei falsi testimoni che il sospettato è colpevole, e via discorrendo…Il comma 2 dell’articolo de quo, esplicitando, quindi, il principio della libertà morale e di autodeterminazione della persona, non fa altro che precludere l’uso di strumenti e tecniche che possano influire sulla capacità di ricordare o valutare i fatti: l’ipnosi, la narcoanalisi, o altri sistemi, tipo il “Lie Detector” (a prescindere dal consenso della persona), FACS e similari.
Con ciò si vuole affermare che occorre sempre tenere a mente, quali operatori di Polizia Giudiziaria, che le informazioni devono risultare soprattutto UTILI sul piano investigativo e non ci deve “spaventare” la condizione in cui il soggetto stia mentendo perchè ciò che rileva è l’essere il più possibile oggettivi nelle attività delle indagini e più si andrà nella direzione dell’accertamento della verità piu’ prossima all’occorso. Quindi non illudiamoci che gli apparati strumentali, benchè fossero utilizzabili, possano sollevarci dal tecnicismo dell’investigatore capace!…
da “Le Tecniche del Colloquio di Polizia“…e “L’aggressività nel Linguaggio non Verbale” versione completa presto nell’area riservata alle Forze di Polizia.