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Cittadini più sicuri? la soluzione nella Città Intelligente

Si deve premettere che la percezione della sicurezza in sè contiene due sentimenti diversi che spesso vengono confusi. Si tratta della paura di essere vittima di un delitto e della preoccupazione per la diffusione della criminalità.

Quest’ultimo sentimento, in particolare è alla base dell’aumento della sensazione d’insicurezza. Si tratta, tuttavia di una sensazione non confermata da dati reali. “La percezione di un andamento crescente della criminalità, dopo 4 anni di sostanziale stabilità, nel 2016 subisce una attenuazione. Pur attestandosi su valori tutt’altro che trascurabili. L’84% degli intervistati ritiene che i reati, in Italia, siano cresciuti rispetto a cinque anni fa”. E’ quanto emerge dal IX Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa – Fabio Bordignon e Martina Di Pierdomenico.

Se il numero dei reati commessi è solo in parte responsabile della preoccupazione per la sicurezza allora occorre chiederci come mai pur in assenza di un sensibile aumento complessivo della criminalità, cresce la sensazione di insicurezza.

Il concetto di insicurezza è assai ampio e può essere esaminato sotto molteplici punti di vista e considerando diverse dimensioni. La sicurezza può essere interpretata innanzitutto come esigenza di vivere e operare in una società nella quale i comportamenti altrui siano in una certa misura prevedibili (Ceri 2008; Antonilli 2012), come il più immediato dei bisogni primari dell’individuo, la cui soddisfazione è propedeutica a tutti gli altri (Maslow 1995; Inglehart 1983 e 1997). È possibile fare riferimento a molti ambiti in cui incontrare il tema: l’economia e l’occupazione; i conflitti globali e il terrorismo; la salute degli individui; gli incidenti sul lavoro; la sicurezza stradale; e poi, certo, il crimine (Diamanti 2008, 2).

Molti autori hanno provato a distinguere tra diversi tipi: Castel (2004), ad esempio, individua una sicurezza «civile», che difende il cittadino dalle sopraffazioni fisiche e morali e che riguarda la persona, i beni, ma anche la libertà di parola, di pensiero, di associazione; e una sicurezza «sociale», che garantisce al cittadino un reddito contro i rischi della vita e del mercato (vecchiaia, malattia, disoccupazione, infortuni).

Secondo Bauman (2000), invece, nel «calderone dell’insicurezza» confluiscono tre dimensioni principali: la safety, che riguarda le minacce all’incolumità di vita e all’integrità fisica e psichica; la security, che riguarda la contrazione delle protezioni connesse alla partecipazione al lavoro e alla cittadinanza sociale; la certainty, che riguarda l’orientamento cognitivo, l’indebolimento delle capacità di padroneggiare il mondo e la scomparsa di punti saldi di riferimento simbolico.

Oggi la sicurezza è al centro di un dibattito molto ricco e articolato. Soprattutto, sembra essere diventata un’esigenza assai diffusa nella società contemporanea e un bisogno da soddisfare quasi a tutti i costi (Bordoni 2012; Fortin e Colombo 2011; Antonilli 2012). Nonostante il fatto che, da qualunque prospettiva voglia guardarsi, 

raramente nella storia l’essere umano ha goduto della quantità e qualità di sicurezza di cui fruisce oggi in Occidente»

forse inaspettatamente «la domanda di questo bene non solo non accenna ad attenuarsi, bensì sembra dilatarsi a un ritmo esponenziale» (Battistelli 2008, 15).”

Oggi, a causa di una sorta di slittamento semantico del termi­ne (Naldi 2004), nel discorso pubblico la sicurezza sembra cor­rispondere sempre più, per riprendere le definizioni di Bauman, all’incolumità, quindi alla preoccupazione per la propria integrità fisica e per la criminalità, piuttosto che all’insicurezza di tipo economico-lavorativo o a quella di tipo cognitivo:

Di fronte a una serie di rischi soft e impalpabili, per i quali è difficile individuare responsabili e soluzioni possibili, le preoccupazioni e le ansie convergono su una dimensione più hard, immediatamente visi­bile nel proprio spazio di vita [dove] non solo è possibile individuare gli attori che ne sono causa (i criminali), ma anche quelli preposti a darvi soluzione (le istituzioni politiche e le forze dell’ordine) (Galantino 2008, 54).

In particolare, è la cosiddetta microcriminalità che attualmente sembra essere strettamente connessa al tema dell’insicurezza. Essa indica reati di minore gravità (rispetto a omicidi, sequestri, violenze sessuali, etc.), come scippi, borseggi, furti su e di auto, furti in appartamento, piccole truffe, etc.; ma anche una serie di compor­tamenti illegali e a volte anche non illegali dal punto di vista strettamente giuridico (le cosiddette inciviltà, di cui parleremo: atti di vandalismo di vario tipo, accattonaggio molesto, urla, rumori notturni, incuria degli spazi comuni, etc.), diffusi nelle aree urbane.

Secondo Arcidiacono (2008), la microcriminalità è notevolmente aumentata nell’ultimo mezzo secolo (in modo diverso nelle varie zone), per vari motivi: innanzitutto, il baby boom postbellico ha comportato la presenza di più giovani, categoria che commette in misura maggiore reati comuni; poi, secondo l’autore, è cambiato il «sistema delle opportunità nella società contemporanea», per cui sono mutate le abitudini, le donne lavorano, le case sono meno custodite rispetto al passato, c’è maggiore disponibilità di oggetti di consumo di massa facilmente asportabili; infine, vanno tenute presenti le trasformazioni delle città, caratterizzate sempre più dall’assenza di vincoli di vicinato, da un certo individualismo diffuso e dall’anonimato di molte zone e quartieri.

Sentirsi insicuri, al di là della reale corrispondenza con l’effettiva possibilità di subire un reato, è un fatto che in quanto tale produce conseguenze non di poco conto: nella vita quotidiana di molte persone può portare a modifiche e limitazioni anche importanti di comportamenti e movimenti, influisce sugli stati d’animo, inibisce attività di tipo prosociale, modifica relazioni sociali e fruizioni di spazi pubblici, provoca fenomeni di migrazione e fuga da determinate zone, comporta un aumento dei costi individuali e collettivi relativi alle spese per la sicurezza, influenza le scelte po­litiche, fino ad arrivare a condizionare l’assetto urbanistico, la for­ma e l’organizzazione delle città (Arcidiacono 2004; Chiesi 2004; Amendola 2008)

Vie e stazioni non sufficientemente illuminate, disordine nel traffico, degrado urbano (panchine divelte, cabine telefoniche danneggiate etc.) fanno sentire insicuri, indipendentemente dalla presenza di criminali. Le ricerche che hanno analizzato il fenomeno indicano l’insicurezza comincia a manifestarsi già nei cittadini dei centri urbani di 10.000 abitanti e diventa assai rilevante in chi abita nelle città con più di 500.000 abitanti. Nelle città, infatti, è più difficile il controllo delle zone periferiche. Proprio in questi luoghi marginali si manifestano con maggiore intensità i comportamenti lesivi delle regole sociali consolidate che rappresentano uno dei fattori primari della sensazione di insicurezza.

Non va certamente sottovalutato il ruolo dei mass-media in questo processo. Secondo Ceri (2008) l’insicurezza oltre ad avere basi reali ne ha anche di artificiali, alla cui costruzione contribui­scono in maniera determinante proprio i mass-media, che avreb­bero una grande responsabilità nella scelta e nella drammatizza­zione di taluni eventi. Anche per Naldi (2004) è lecito ipotizzare che i mass-media giochino un ruolo importante nella percezione (spesso distorta) dell’insicurezza. Secondo questo autore, esisto­no infatti due contraddizioni nel modo in cui il tema è dibattuto, che fanno pensare a un intervento decisivo delle comunicazioni di massa: l’impossibilità di dimostrare l’aumento dell’insicurezza con una corrispondente crescita effettiva della criminalità; la sot­tovalutazione di alcuni concreti fattori di rischio per l’incolumità a favore di una sottolineatura eccessiva per un particolare tipo di criminalità.

In un’accezione ampia dell’insicurezza urbana rientrano anche fenomeni diversi dai reati comuni. Si tratta delle cosiddette inciviltà, che si concretizzano in una grande varietà di forme: atti di vandalismo, scritte sui muri, accattonaggio molesto, schiamazzi, urla, rumori notturni, bisogni corporali in pubblico, presenza di bottiglie vuote e rifiuti, sporcizia nelle superfici comuni, etc. Esse costituiscono «trasgressioni di norme condivise riguardanti i comportamenti negli spazi pubblici» (Farruggia 2008, 103) e hanno a che vedere con gli standard di convivenza di un gruppo, di una zona, di un territorio. Chiesi (2004, 132) le suddivide in ambientali (violazione di standard di cura e mantenimento del territorio) e sociali (violazione di standard di convivenza tout court) e ne parla come di condotte quasi mai sanzionabili penalmente: si tratta di comportamenti illegittimi o «al limite dell’illegittimità, o anche, più semplicemente, inaccettabili per quote rilevanti della popolazione che li subisce».

Un ambiente degradato provoca «nella comunità un senso di abbandono, di mancata attenzione da parte delle autorità» e «eleva la soglia di indifferenza», facilitando i comportamenti devianti, tra cui quelli criminali (De Giorgi 2000,16). Ovviamente, non è affatto scontato che all’aumentare dei fenomeni di inciviltà, cresca anche la commissione di reati; però, è nota la teoria delle finestre rotte (Wilson e Kelling 1982), secondo la quale se in uno spazio non ci si cura di contrastare infrazioni anche piccole e si tollerano comportamenti poco corretti, da un lato si può favorire il consolidamento di cultu­re criminali, dall’altro si induce chi abita nella zona a pensare che la commissione di un reato possa essere più facile e accettata.

Il cittadino comune si preoccupa per il furto, dalla rapina, per lo scippo, o se donna per il timore di aggressioni sessuali, e non ha la sensazione di essere direttamente attaccato dal grande traffico di stupefacenti o dal controllo mafioso degli appalti pubblici, reati, questi, che rientrano in quelli definiti “macrocriminalità”

Lo Stato, e più in generale ogni sorta di pubblico potere, trae la propria legittimazione dalla capacità di rispondere al bisogno di sicurezza. Se la risposta non è percepita dai cittadini e, parallelamente, permangono i fattori d’insicurezza, è in crisi la stessa legittimazione del potere pubblico e delle istituzioni che lo rappresentano.

Una moderna politica della sicurezza deve aggiungere ai due tradizionali obbiettivi, combattere il crimine e combattere le cause del crimine, una terza finalità:

DARE SICUREZZA AI CITTADINI.

Più nello specifico del ruolo della Polizia locale, va distinta l’attività di controllo del territorio, basata principalmente su azioni di tipo coercitivo e repressivo che è propria delle Forze dell’Ordine ed in primis delle Forze di polizia a competenza generale (Polizia e Carabinieri), da quella di governo del territorio nella quale l’attività di repressione è normalmente, ma non esclusivamente, di tipo amministrativo e volta a disciplinare la libera e serena fruibilità della città da parte degli utenti.

Il governo del territorio, inoltre, riguarda gli interventi nei confronti di quei comportamenti incivili che, pur non raggiungendo la soglia dell’illecito penale, sono tuttavia idonei a turbare il decoro della città o la percezione di sicurezza del cittadino.

Sotto questi profili assume rilievo la nozione di “citta intelligente”. Questa deve essere intesa come l’insieme delle scelte dall’amministrazione adottate con l’ausilio di informazioni provenienti da apparati tecnologici, analisi dei dati provenienti da varie fonti, che oggi purtroppo non vengono analizzate nel loro insieme ma lette ed analizzate singolarmente senza una visione d’insieme che li mette in relazione.

In un contesto incerto si innestano però opportunità straordinarie, da cogliere in quel nuovo “spazio digitale della Città Intelligente”, fatto di connettività e apparati, di cloud computing, di social network, di sistemi di videosorveglianza, di applicazioni verticali e servizi che, se integrati con strumenti e soluzioni abilitano il civic empowerment, portando a soluzioni nuove, innovative ed efficaci.

In questo paradigma, che poggia sui pilastri della partecipazione, della collaborazione, della condivisione, della sostenibilità e dell’innovazione sociale e tecnologica, sono contenuti il senso di una piattaforma di servizio per la cooperazione sicura Security as a Service, strutturata ed in tempo reale tra enti, organizzazioni pubbliche e private, nazionali.

Per l’estrema varietà delle situazioni che devono affrontare: dalla repressione di illeciti amministrativi a quelli penali, dalla tutela del patrimonio comunale al mantenimento del decoro urbano nella vie e nelle piazze cittadine; il governo del territorio necessita di mezzi che favoriscano la comunicazione, la trasmissione e l’analisi dei dati.

È quindi evidente che le nuove tecnologie offrono sì la possibilità di comunicare in tempo reale ed in maniera digitale con i cittadini per aumentarne la percezione della sicurezza, ma occorre modificare anche gli schemi organizzativi delle Amministrazioni e delle Forze dell’Ordine.

L’innovazione tecnologica può essere un “fattore abilitante” per raggiungere questo obiettivo di integrazione per un più razionale uso delle risorse, specie nella situazione attuale di crisi della finanza pubblica, in particolare rendendo possibile l’integrazione degli sforzi dei vari soggetti portatori di interessi: le diverse Forze dell’ordine, gli Enti locali, i cittadini stessi in un’ottica di sussidiarietà orizzontale verso un nuovo concetto di “sicurezza partecipata”.

Gli strumenti tecnologici in uso agli operatori della sicurezza sono essenziali per difendere il diritto alla qualità della vita degli abitanti sia dei grandi sia dei piccoli centri urbani. Rappresentano, infatti, il collante con il quale mettere insieme competenze diverse e informazioni. In questo senso immaginare le modalità d’intervento di una Città Intelligente significa coglierne il senso più profondo, quello che si ricollega al termine latino intelligo e cioè che capisce, che pensa.

Per stare al passo con le sfide che ci vengono rivolte, si rende indispensabile avere una Polizia Locale professionalmente adeguata al suo crescente rilievo e dotata di tecnologie e strumenti che le permettano di “capire e di pensare” per contribuire a rendere migliori le nostre Città.

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