“L’acqua inquinata da pesticidi”, è il risultato dell’indagine ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – che ha esaminato la contaminazione delle acque sotterranee e superficiali nel territorio italiano nel biennio 2013-2014.
Il risultato complessivo dello studio indica un’ampia diffusione della contaminazione, in aumento rispetto ai risultati del 2012.
La contaminazione da pesticidi ha interessato il 64% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali ed il 37% di quelli sotterranei.
Geograficamente, la contaminazione delle acque superficiali è più diffusa nella pianura padano-veneta. In diverse Regioni, infatti, supera il dato nazionale (70% in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, 90% in Toscana e 95% in Umbria).
Nelle acque sotterrane la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia (50%), in Friuli (68,6%) ed in Sicilia (76%).
Nel resto del paese, tranne Molise e Calabria che non hanno inviato alcuna informazione, la situazione è abbastanza disomogenea.
Sono ben 224 le sostanze diverse rinvenute.
Tra questi gli erbicidi sono i più frequenti, ma, rispetto al passato, risulta aumentata la presenza di fungicidi (metalaxil, oxadixil e pirimetanil) e insetticidi (imidacloprid). Quello che preoccupa maggiormente è la presenza, nei campioni analizzati, di numerose sostanze diverse contemporaneamente.
E’ importante sapere che l’impatto di questo mix di sostanze sulla salute dell’uomo e di altri organismi non è stato mai preso in considerazione per le valutazioni alla base del rilascio delle autorizzazioni dei pesticidi. Finora le sostanze sono state valutate solo singolarmente, ma bisogna tenere conto che
la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del suo componente più tossico.
E’ importante, quindi, per la salute dell’uomo e di tutti gli organismi cercare di colmare questa lacuna. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sta lavorando in questo senso, e attualmente, con l’ausilio di un particolare software, sta cercando di effettuare una valutazione dei rischi cumulativi derivanti dall’esposizione ai pesticidi, in particolare su quelli che possono compromettere la funzionalità della tiroide e del sistema nervoso.
Analizzando le singole sostanze rinvenute nell’acqua, uno dei contaminanti più diffusi è il GLIFOSFATO, insieme al suo prodotto di degradazione, AMPA. Si tratta di un erbicida, il più venduto al mondo, utilizzato in agricoltura ed orticoltura per combattere le erbe infestanti, ma che viene impiegato anche su aree aree industriali, civili, argini e nei bordi stradali e che può accumularsi e persistere nel terreno per anni.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel 2015, ha inserito questo pesticida nell’elenco delle sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo.
Di diverso parere è il rapporto EFSA che conclude: “è improbabile che il glifosfato sia genotossico (cioè danneggi il DNA) o sia cancerogeno per l’uomo”, proponendo però nuovi livelli di sicurezza in modo da rendere i controlli più severi.
Secondo L’EFSA si giunge a conclusioni opposte perché l’Unione europea e l’IARC adottano sistemi diversi nella classificazione delle sostanze chimiche. Nel sistema di valutazione dell’IARC entrano agenti generici, compresi i gruppi di sostanze chimiche correlate, ma anche altri fattori, quali l’esposizione professionale o ambientale. Il sistema UE, al contrario, esprime una valutazione separata di ogni sostanza chimica e di ogni miscela commercializzata.
La Commissione Europea prossimamente dovrà decidere se mantenere o meno il glifosato nell’elenco delle sostanze attive approvate. Nell’attesa, l’autorizzazione è stata temporaneamente prorogata fino a giugno 2016.
Dalla lettura di queste informazioni, ci si chiederà: l’acqua di rubinetto è sicura? La presenza di pesticidi nelle acque pone la questione delle possibili ripercussioni negative sull’uomo e sull’ambiente.
Sappiamo che questa indagine non ha riguardato il monitoraggio dell’acqua di rubinetto. L’Ispra si è occupata di analizzare i dati provenienti dalla rete di monitoraggio mirando alla salvaguardia dell’ambiente e non al controllo delle acque potabili, ma dato che queste ultime sono spesso sono prelevate dagli stessi corpi idrici, in caso di contaminazione è necessario attuare opportuni interventi di depurazione.
L’unica certezza che abbiamo è che la legge non permette l’immissione negli acquedotti di acqua contaminata.
La realtà è però ben diversa. In diverse Regioni si registrano casi di acque potabili contaminate.
L’11 luglio 2014 la stessa UE ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in quanto non avrebbe rispettato alcuni valori limite di sostanze inquinanti (arsenico, boro e fluoruro), tali da garantire che le acque possano essere consumate in sicurezza dalla popolazione nell’intero arco della vita, contravvenendo quindi alle direttive europee.
Prima di arrivare a questa decisione, l’Italia ha usufruito dal 2004 al 2009 dell’istituto della “deroga” per gestire in sicurezza e sotto idoneo controllo circostanze di superamento sistematico di valori in diversi territori ricompresi in 6 Regioni (Campania: comuni della fascia vesuviana; Lazio: comuni della provincia di Roma, Viterbo e Latina; Lombardia: territori bresciani, pavesi e della provincia di Lecco; Toscana: territori del Livornese, del Pisano e dell’Aretino; Umbria: territori della provincia ternana tra Orvieto, Castel Giorgio e Castel Viscardo; Trentino Alto-Adige: zone delle 2 Province Autonome) comprendenti in tutto 226 zone di fornitura idrica.
Il procedimento di infrazione è stato aperto per i seguenti motivi:
- superamento dei valori limite di arsenico previsti dalla deroga europea (> 20 μg/l) in almeno 16 Comuni laziali;
- inosservanza della garanzia di forniture idriche sicure per neonati e bambini fino all’età di 3 anni;
- carenze nell’informazione al pubblico sia sui rischi legati al consumo di acque derogate da parte di neonati e bambini fino a 3 anni di età, sia sulle modalità di riduzione dei rischi legati al consumo di acque potabili in regime di deroga;
- ritardi sull’attuazione di misure correttive protratte oltre la seconda metà dell’anno 2013 in vari territori della Regione Lazio;
- persistente violazione dei parametri di arsenico e fluoruro, dopo la scadenza della III deroga, alla fine dell’anno 2012, in 36 zone di fornitura idrica per il parametro arsenico e in 18 zone simili per il parametro fluoruro, per un bacino totale di utenza superiore a 400.000 persone.
Questa procedura di infrazione risulta attualmente ancora aperta.
L’attività di vigilanza sulle falde acquifere e sull’erogazione dell’acqua per uso domestico andrebbe sicuramente potenziato al fine di garantire forniture idriche sicure per tutta la popolazione. In ogni caso sarebbe auspicabile una tempestiva informazione al pubblico, sia nei casi di superamento dei limiti, sia sui rischi legati al consumo di questa acqua, in particolare per gli effetti che potrebbero avere su neonati e bambini. In questo modo si darebbe la possibilità a tutta la popolazione servita da quel bacino idrico contaminato di mettere in atto idonee misure preventive.