Con il Nuovo Codice di Procedura Penale che entrò in vigore nel 1989, si è cercato di attuare in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. Il dibattimento doveva finalmente divenire vero e unico processo, improntato sui principi dell’oralità, dell’immediatezza, della pubblicità, della concentrazione e del contraddittorio delle parti, con queste ultime poste su una posizione di parità di fronte ad un giudice che non era più organo insieme inquirente e giudicante, ma terzo equidistante e con mansioni di esclusivo e libero giudizio. Fulcro dell’ordinamento non è più l’istruzione formale ma il “diritto delle parti di difendersi provando”. Il difensore doveva venire a conoscenza del procedimento penale nella maniera più immediata possibile, al fine di avere la possibilità di approntare un’adeguata difesa dell’assistito. Così egli era in grado di operare scelte processuali, di incidere sulla carcerazione preventiva, che finiva di essere la regola, ed era ridimensionata a strumento eccezionale da utilizzarsi in maniera residuale, ma soprattutto egli era messo in condizione di provare, cioè di ricercare, individuare e acquisire mezzi di prova. La scelta di valorizzazione, quindi, cadde sul profilo delle garanzie individuali rispetto alle garanzie collettive.
Questo valore viene espresso nel nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione modificato in data 23 novembre 1999 che introduce cinque nuovi commi che consacrano i principi cardine ai quali deve informarsi ogni processo. Questi principi sono sintetizzati nell’espressione “Giusto Processo” che sancisce:
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la parità fra accusa e difesa,
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il contraddittorio di fronte al giudice terzo ed imparziale,
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la ragionevole durata del processo, condizione quest’ultima indispensabile poiché, come ha osservato il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Mario Cicala, “Non può esistere il giusto processo se non si raggiungono verdetti in tempi ragionevoli”.
Il contraddittorio rappresenta il cuore della riforma: la parità delle parti nel processo passa tramite il contraddittorio ad un giudice terzo ed imparziale, che si trovi, quindi, in una posizione di indifferenza ed equidistanza rispetto alle parti. L’art. 111, inoltre, parla di “informazione riservata che nel più breve tempo possibile deve portare a conoscenza la natura e i motivi dell’accusa” e altresì di “tempo e condizioni per la preparazione della difesa” (L. Cost.23/11/99 n°2). La norma quindi riconosce all’accusato il diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa, pertanto tale siffatta disposizione sembra dare impulso alle indagini difensive.
E’ con la riforma introdotta dalla legge 397/2000 che la distanza tra le posizioni di accusa e difesa viene notevolmente diminuita, rendendo il procedimento penale italiano a carattere accusatorio. Permane però, a favore del P.M., il potere di segregazione degli atti dallo stesso formati e delle dichiarazioni raccolte, anche se per un tempo limitato (due mesi), come meglio sarà spiegato successivamente. nuova disposizione emanata sulla base del nuovo dettato costituzionale, ha inserito nel libro V del c.p.p., il titolo VI bis intitolato “Investigazioni Difensive”, abrogando l’art.38 disp. att. c.p.p. Tale legge prosegue il percorso del legislatore mirante a garantire un’effettiva parità tra accusa e difesa, soprattutto nella fase delle indagini preliminari. La facoltà del difensore di svolgere le indagini ha inizio nel momento in cui il proprio assistito gli conferisce l’incarico professionale, che deve risultare da atto scritto a norma del nuovo art. 327-bis del Codice di Procedura Penale che recita:
«fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI bis».
Ne risulta che la facoltà investigativa può essere attribuita, per l’esercizio del diritto di difesa:
- a) per l’eventualità che si instauri un procedimento penale;
- b) in ogni stato e grado del procedimento;
- b) nell’esecuzione penale;
- c) per promuovere il giudizio di revisione.
Gli atti costituenti attività investigativa del difensore possono essere riassunti in una triade ma di cui, in questa sede, prenderemo in esame l’ accesso ai luoghi.
Sono gli articoli 391 sexies e 391 septies a darci conto della terza ed ultima tipologia di atti possibili al difensore in sede di Indagini Difensive. Il legislatore parla di “accesso ai luoghi”, permettendolo tanto quando siano aperti al pubblico, quanto nel caso in cui non lo siano. Per la seconda eventualità e necessario, però, il consenso di chi ha la disponibilità del luogo, ovvero l’autorizzazione del giudice che, con decreto motivato, specifica le concrete modalità di attuazione dell’accesso. La persona presente ha, inoltre, la facoltà di farsi assistere da persona di fiducia idonea e prontamente reperibile e, in ogni caso, non è consentito accedere ai luoghi di abitazione e loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato.
Il sopralluogo, ovunque compiuto, può essere funzionale a tre esigenze:
- prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose;
- procedere alla loro descrizione;
- eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi.
Quanto all’aspetto formale il difensore o gli ausiliari indicati nell’articolo 391 bis, possono redigere un verbale nel quale sono riportati:
- a) la data ed il luogo dell’accesso;
- b) le proprie generalità e quelle delle persone intervenute;
- c) la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose;
- d) l’indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell’atto e sono allegati al medesimo.
Nasce un problema nell’ipotesi dell’investigazione preventiva per l’eventualità dell’instaurarsi di un procedimento penale: il mandato investigativo al difensore deve indicare i fatti a cui si riferisce per cui vi è una pericolosa discovery obbligata. Anche se è vero che tale dichiarazione scritta non sarebbe utilizzabile in sede di dibattimento, e se è vero che l’onere di indicazione dei fatti oggetto di indagine preventiva è pur necessario al fine di evitare indebite intromissioni del difensore nella vita privata altrui, è pur vero che in questo modo il soggetto è obbligato a confessare a suo detrimento. La soluzione a tale problematica è che il difensore e i suoi ausiliari non hanno obbligo di denuncia, neppure relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte.
IL SOPRALLUOGO
La prima grande divergenza in campo investigativo è che, mentre il difensore ha la facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, il Pubblico Ministero ha l’obbligo di dare seguito penale a notizie criminis. Sotto tale aspetto, quindi, seppure per il difensore l’attività di patrocinio costituisce, un obbligo deontologico, per contro egli non ha alcun obbligo penale di ricercare, nè di avvalersi dei risultati ottenuti, la cui utilizzazione è quindi rimessa alla sua strategia difensiva senza dovere di “discovery”.
Altro limite è la circoscrizione del potere tecnico-operativo essendogli certamente precluse alcune attività tecniche quali: la perquisizione personale, le ispezioni corporali, il sequestro e le intercettazioni telefoniche e ambientali.
Egli ha certamente il “diritto di entrare” per “prendere visione” dello stato dei “luoghi e delle cose”, diritti già genericamente previsti anche prima nel diritto di difesa, ma ora dotati di un riconoscimento, con la previsione della possibilità di “verbalizzazione”. Egli, inoltre, non ha limiti di tempo nel senso che può richiedere, in qualsiasi momento l’accesso ai luoghi, o di spazio, intendendo per spazio, quella che in gergo si definisce l’area forense che non trova coincidenza con l’area di polizia, ben più ampia, e con l’ulteriore limite ad agire qualora non si tratti di luoghi pubblici, ove ha facoltà di procedere autonomamente previa autorizzazione dell’avente diritto ovvero, in assenza di questa o di diniego, con l’autorizzazione del P.M. o del giudice dell’indagine preliminare. Ha facoltà di documentare il suo ingresso, verbalizzando le operazioni, eventuali rilievi e facendoli sottoscrivere eventualmente alle persone presenti o intervenute e con l’obbligo, però, che siano verbalizzazioni fedeli, onde non incorrere nel delitto di falso ideologico (art. 479 cp.).
Nella tipologia degli atti si tenga presente che esiste una marcata differenza, tra accusa e difesa, nello spirito della ricerca, atteso che e all’accusa che spetta il compito di dimostrare e che ha l’onere della prova. Vi è pertanto una tipologia di atti che contraddistinguono gli accertamenti di polizia giudiziaria durante il sopralluogo e che non trovano corrispondenza nell’attività della difesa.
L’AUSILIARIO DEL DIFENSORE: L’INVESTIGATORE PRIVATO
Un’ultima riflessione non può non essere dedicata all’articolo 222 delle disposizioni di attuazione che, rinnovato, recita:
“Fino all’approvazione della nuova disciplina sugli investigatori privati, l’autorizzazione a svolgere le attività indicate nell’articolo 327bis del codice e rilasciata dal prefetto agli investigatori che abbiano maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell’attività”. L’incarico è iscritto in uno speciale registro, in cui sono annotate:
- a) le generalità e l’indirizzo del difensore committente;
- b) la specie degli atti investigativi richiesti;
- c) la durata delle indagini, determinata al momento del conferimento dell’incarico, e che il difensore comunica all’autorità giudiziaria procedente.
Il secondo comma dell’ art. 38 disp. att. alla Legge 397/2000 ”Facoltà dei difensori per l’esercizio del diritto alla prova” ha previsto la possibilità di svolgere l’attività di investigazione difensiva anche in capo agli investigatori privati autorizzati.
Obiettivo della previsione sembra essere quello di:
- favorire la collaborazione tra avvocato e investigatore privato, inteso come tecnico specializzato nella ricerca degli elementi probatori;
- garantire un ruolo processuale agli investigatori privati professionalmente qualificati.
L’attività di investigazione si concretizza, innanzitutto, nella ricerca di informazioni su atti o fatti riguardanti la vita di relazione, spingendo la propria indagine anche in quella sfera privata o pubblica per cui l’ordinamento non abbia previsto che un fatto o un atto debba rimanere segreto o riservato. E’ da rilevare che in tale attività, gli atti posti in essere dall’investigatore sono identici a quelli della polizia giudiziaria con l’unica differenza che in determinate circostanze, legislativamente previste, la polizia può restringere la libertà personale, di domicilio e di comunicazione. Per quanto riguarda l’investigatore, Invece, essendo un soggetto privato, la sua attività non deve svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Si pone, quindi, il problema dei limiti di ordine costituzionale e legislativo alla relativa attività. A livello di legislazione ordinaria sono numerose le norme penali che puniscono le violazioni di libertà costituzionalmente tutelate: ad esempio l’art. 614 c.p., che punisce la violazione di domicilio; unitamente a tale articolo vi sono norme che sanzionano le interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis cp.), norme relative all’indebita presa di cognizione di comunicazioni telegrafiche o telefoniche; infine l’art. 660 c.p. sulla molestia o il disturbo alle persone. La recentissima legge sulla privacy, la n° 675 del 31-12-1996, la quale, all’art. 22, sancisce che i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale possono essere oggetto di trattamento previa autorizzazione del garante, ma senza che occorra il consenso dell’interessato di cui all’art. 12 della legge, qualora il trattamento sia necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni purché, però, per il tempo strettamente necessario al perseguimento di tale finalità. Infatti, il garante della privacy autorizza gli investigatori privati a trattare i dati idonei strettamente personali sopra citati, secondo le prescrizioni da ella indicate in un apposito documento con il quale stabilisce le modalità, 1′ ambito di applicazione, le finalità del trattamento, conservazione dei dati, comunicazione e diffusione dei dati. I dati possono essere comunicati unicamente al soggetto che ha conferito l’incarico.
Con tale legge e stato, quindi, finalmente approvato un testo normativo che riconosce pienamente il ruolo ausiliario degli investigatori privati nella raccolta di informazioni processualmente rilevanti, pur mantenendo inscindibile il legame con un procedimento penale, dal momento che e fatto divieto di intraprendere di propria iniziativa investigazioni, se non sulla base di un apposito incarico conferito per iscritto dal difensore. Inoltre è previsto un obbligo di informazione periodica circa l’andamento delle indagini per evitare un allargamento ingiustificato di esse e per consentire una tempestiva valutazione della sufficienza delle investigazioni o dell’ inutilità di protrarle nel tempo. Il rapporto si dovrebbe, quindi, configurare come un rapporto in cui il difensore fornisce le direttive le quali costituiscono i “binari” entro i quali l’investigatore svolgerà i suoi compiti.
Aspetto importante dell’attività dell’investigatore privato concerne i pedinamenti e gli appostamenti: essi rappresentano sicuramente un delicato momento dell’attività investigativa, che da una parte debbono garantire risultati concreti per la difesa, dall’altro non devono ledere il rispetto dell’altrui sfera privata. La Corte di Cassazione ha stabilito che il pedinamento puro e semplice, quando interferisce nell’ altrui sfera privata, non integra gli estremi del reato di molestia di cui all’art. 660 c.p. Da ciò si desume che in astratto i pedinamenti da parte dell’investigatore sono pienamente legittimi, purché, appunto, non si concretizzino in atteggiamenti che possano integrare le fattispecie delittuose di cui all’art. 660 c.p. – molestie -, di cui all’art. 610 c.p. – violenza privata – o di cui all’art. 615 bis – interferenza illecita nella vita privata. Ma in un processo accusatorio basato sulla parità effettiva delle parti, la polizia giudiziaria pubblica e quella “privata” – gli investigatori privati – devono poter usufruire delle medesime prerogative, con esclusione solamente dei poteri coercitivi inibiti alla parte privata e sempre che la relativa condotta non integri i reati sopra menzionati. Deve, comunque, essere chiaro il fatto che l’attività dell’investigatore deve rimanere di mera osservazione e acclaramento della realtà. Egli, perciò, dovrà astenersi sia dai comportamenti che possano inquinare le tracce e le fonti di prova del reato, sia dallo sviare le contemporanee indagini del pubblico ministero, pena incorrere in un’eventuale incriminazione di usurpazione dei pubblici poteri nel primo caso, e di favoreggiamento personale o reale nel secondo.
CONCLUSIONI
Una conclusione di ordine generale porta ad affermare che se la normativa vigente sulle investigazioni difensive vuole essere un passo verso la parità delle parti va accolta con entusiasmo, in quanto segna indubbi punti a favore della difesa, ma se intende essere il passo definitivo e risolutivo del problema ci si e fermati un po’ prima dell’obiettivo prefissato in quanto:
1) Nella prospettiva dell’accertamento della verità la normativa mostra di esaltare anche la collaborazione tra accusa e difesa, talvolta attraverso la mediazione del giudice. Ad esempio, ove una persona a conoscenza di circostanze di rilievo esercitasse il diritto al silenzio nei confronti del difensore investigante, questi potrebbe chiedere ed ottenere dal P.M. la sua audizione coattiva, oppure chiedere l’incidente probatorio. A tal proposito non è fuorviante osservare come il modello adversary statunitense non obbliga affatto il difensore, a differenza dell’accusa, ad avvertire la persona che egli intende ascoltare, del diritto di tacere, in quanto vi è la consapevolezza che la parte debole sia la difesa e non l’accusa e vi è una maggior fiducia nell’idoneità dell’esame incrociato a individuare la menzogna o la fallacia del teste.
2) Il momento collaborativo si esprime anche nell’art.391-quinquies c.p.p. che permette ai P.M. di vietare, per non più di 2 mesi, ai soggetti escussi a sommarie informazioni sia della difesa che dell’accusa la divulgazione dei fatti su cui si indaga, avvisandoli della responsabilità penale. La norma e in astratto idonea a soddisfare anche l’interesse della difesa, anche se non ci si può attendere che il P.M. intervenga in tal senso quando le esigenze investigative da tutelare appartengano esclusivamente alla difesa. Di conseguenza la condizione paritetica si fonda sul senso deontologico del magistrato, ed è riposta nella volontà di costui di evitare manovre scorrette od anche intimidatorie. Infatti, la violazione della norma è possibile attraverso una sapiente attività di verbalizzazione, avvantaggiata dal metus che il soggetto ascoltato e incline a nutrire verso il P.M. o la P.G. Si tratta dunque di una soluzione che non scongiura adeguatamente i pericoli di inquinamento probatorio derivanti dalla possibilità di audizione dei soggetti già ascoltati dalla controparte investigante.
3) Nel quadro di un’area sicuramente allargata di intervento della difesa, nella fase delle indagini preliminari, il difensore può chiedere alla Pubblica Amministrazione di prendere visione ed estrarre copia degli atti da essa posseduti. In caso di rifiuto, la difesa non ha che da rivolgersi ai P.M. e ciò determina una ulteriore discovery a favore dell’accusa. Se si vuole una difesa attiva anche in fase investigativa, la “parità d’armi” rende inevitabile che deve essere assicurata essenzialmente attraverso l’equivalenza dell’utilizzabilità del materiale probatorio reperito.
4) La riforma prevede la possibilità anche per la difesa di svolgere indagini integrative successivamente all’emissione del decreto di rinvio a giudizio, ai fini delle eventuali future richieste ai giudice del dibattimento. In questo modo le indagini preliminari sono private del limite temporale ma il P.M. non potrà avvalersi della norma per reiterare atti investigativi già compiuti extra tempus, per i quali dunque la censura di inutilizzabilità rimane in piedi. Ma il problema e che la difesa non può trarre vantaggio da tale norma poiché le indagini suppletive andranno svolte nell’arco dei termine di comparizione, certamente esiguo.
5) A questo si dovrebbe, poi, aggiungere, ecco il punto veramente critico, l’attività di ispezione, perquisizione, sequestro, intercettazione, per la verità difficilmente immaginabili tra le prerogative della difesa. Per rendersi conto che la parità non vi è stata dall’89 ad oggi, basta rilevare che il magistrato utilizza mezzi dello Stato che sono preclusi al difensore e gode della disponibilità, ex art. 109 cost., della polizia giudiziaria, vantaggi, questi, di non poco conto. Si pensi, per chiarire, al dispendio economico che richiede un’attenta e metodica attività investigativa; se questo non costituisce un problema per la magistratura inquirente, certamente lo è per il cittadino che deve remunerare il difensore in relazione agli atti che questi compie per raccogliere elementi in suo favore. Si ritiene giusto affermare che le indagini difensive rischiano seriamente di essere fenomeno per ricchi e, paradossalmente, per non abbienti ammessi al patrocinio a spese dello Stato. Si rende necessaria, pertanto, una nuova legge sul gratuito patrocinio e sulla difesa d’ufficio, che superi il requisito di non abbienza per sostituirlo con quello di onere del processo rapportato al reddito familiare dell’utente, e nello stesso tempo occorre dare maggiore incisività al ruolo del difensore attraverso la nuova disciplina delle indagini difensive.
6) Diversi avvocati-difensori, per impostazione professionale, per indubbie difficoltà operative, per i rischi connessi (si pensi all’incriminazione per favoreggiamento o subornazione) e, buon ultimo, per le incerte prospettive di utilizzazione processuale, preferiscono non avvalersene.
Non si è ancora sviluppata una categoria di detective specializzati nella conduzione di questo genere di indagini. A tutt’oggi, in Italia, l’istituto delle indagini difensive, trova molte difficoltà applicative, legate alla scarsa disciplina normativa e alla diffidenza culturale che continua a circondarlo. Si ritiene opportuna, quanto prima, una disciplina organica anche di questa materia, per sopperire alle evidenti inadeguatezze a fronte di cosi vaste innovazioni, anche se, per tutta sincerità, la linearità di questo discorso e tale da avvalorare la tesi, che si è ampiamente sostenuta, secondo la quale solo riserve di carattere mentale hanno permesso un cosi scarno sviluppo delle investigazioni difensive.
Un’ultima precisazione: generalmente, l’avvocato ritenuto capace è quello che più riesce a far assolvere il suo assistito. Qui, riteniamo colui che collabora attivamente con un solo fine: l’accertamento della verità in modo che il suo assistito possa adempiere agli Istituti della Riparazione del Danno e dell’Espiazione della Pena, qualora fosse ritenuto realmente colpevole!
Bibliografia:
Stefani, Manuale delle indagini difensive nel processo penale. Giuffre. 1999.
Notaro, Il nuovo regime delle Indagini difensive: riflessioni a prima lettura
Tonini, Manuale di Procedura Penale, Milano 2002.
Gamberale, Il Giusto processo
Piccialli, II Processo Penale illustrato. Napoli 2002
Cass. pen., 14-6-1978, Urcioli, in Cass. pen., 1978, p. 1200
Il ruolo dell’Investigatore Privato: “Le Indagini Difensive ed il Sopralluogo Giudiziario” di Monica Di Sante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.