Il Protocollo Unico Operativo denominato PUO-TSO, nasce da una serie di riflessioni su una prassi esistente e dalla rivisitazione di tutte le normative esistenti sul tema e non solo.
L’approfondimento ha origine dall’evento che, vedendo la morte di un paziente psichiatrico, ha risollevato la questione sulla procedura di esecuzione del Trattamento Sanitario Obbligatorio, piuttosto che dell’Accertamento Sanitario Obbligatorio. Il primo errore alla base della prassi operativa trova la sua origine nel fatto che, nella nostra cultura, è ancora presente la radice antica della paura del “matto” che trova il suo fondamento nei pregiudizi di una società che ha visto nel “folle” un socialmente pericoloso al punto da dover predisporre dei luoghi opportuni ove segregarlo anche per colpa di una psichiatria che ante 1980 stentava ad affermarsi come scienza, per cui i MANICOMI, furono la soluzione. I malati venivano trattati con la forza, esposti, a condizioni disumane e a violenze. Con lo psichiatra Franco Basaglia nel 1978 la stessa psichiatria cambia approccio al malato con lo studio anche delle cause psicologiche di natura sociale, relazionale ecc. che finalmente si determina il diritto ad un`adeguata qualità di vita, per il malato mentale conquista, questa, fondamentale per una società che voglia considerarsi civile. Ne consegue che l’intervento pubblico non sarà più finalizzato al controllo sociale dei malati di mente ma sarà diretto alla promozione della salute ed alla prevenzione dei disturbi di salute mentale. Il ricovero in ospedale, da una forma di carcerazione, diviene volontario e proposto solo in condizioni di particolare gravità, giammai per effetto di una valutata pericolosità sociale.
Viene, dunque, rivisto il Sistema Sanitario Nazionale con la creazione di Aziende Sanitarie Locali all’interno dei quali è presente un Dipartimento di Salute Mentale, con un Direttore e personale sanitario misto (medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri, e personale di segreteria), dove i medici di base possono indirizzare i propri assistiti anche semplicemente per necessità di un colloquio psicologico per meglio affrontare criticità personali, relazionali ecc. Nasce il “progetto terapeutico” che si compone di diverse attività con lo scopo di rendere il paziente psichiatrico capace di provvedere a se stesso anche attraverso misure per l’inserimento lavorativo. Il ricovero in ospedale diviene volontario, non rappresenta più quelle finalità sopra descritte, ovvero il luogo dove contenere il malato, anzi viene proposto solo in condizioni di particolare gravità.
Gli Accertamenti e Trattamenti Sanitari Obbligatori (ASO e TSO), rappresentano infatti l’unica eccezione dalla quale si prescinde dal consenso della persona in quanto:
- Sussistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
- I trattamenti non vengono accettate dall’infermo;
- Non sussistono condizioni e circostanze che consentano di adottare altre tempestive ed idonee misure sanitarie.
Dunque l’attività coercitiva è TERAPEUTICA, intesa come imposizione delle cure per il benessere e la salute del paziente incapace di rendersi conto della necessità delle cure in modo da compensare i disturbi rendendo funzionale il soggetto, secondo quanto precisato dall’OMS a proposito della salute psichica. Ciò premesso, se dunque il TSO è un trattamento sanitario, come si coniuga con il trattamento di contenzione fisica di matrice giudiziaria? Due le situazioni in cui la Polizia potrebbe interfacciarsi con un malato psicopatologico: il caso del luogo pubblico o aperto al pubblico dove un soggetto aggressivo attenta alla vita degli altri e/o danneggia cose in preda ad una crisi aggressiva, lì dove la Polizia, interviene su chiamata, ed agisce con la “contenzione” fisica in ragione della commissione di un reato e solo successivamente all’intervento di polizia che la ASL interviene, per tramite dello psichiatra, proponendo un TSO. Caso diverso è quando la Polizia Locale si reca a casa del paziente per effetto di una Ordinanza Sindacale TSO e la persona, in calma apparente, apre la porta. In questa seconda ipotesi non è pensabile che sia la Polizia ad iniziare l’iter, nemmeno nell’opera di convincimento, perché metodologicamente errato: la polizia non si trova di fronte un reo sul quale incidere operando il convincimento a desistere da un comportamento penalmente rilevante, ma si trova di fronte un malato acclarato, per cui deve essere il medico/psichiatra a condurre il colloquio in ragione delle supposte competenze scientifiche.
Perché, invero, la Polizia Locale si è accollata l’onere di esecuzione delle fasi attive del TSO? Perché mentalmente è ancora strutturalmente ancorata allo slogan “medievale” dato al malato mentale: “pericoloso per sé e per gli altri” a presupposto di base per l’intervento coercitivo di polizia. Questo modello mentale è in contrasto con le finalità stesse della Legge 180/78, perché, quando si tratta di paziente psichiatrico, non è ad esame il carattere della pericolosità sociale, semmai la pericolosità sociale rimane un tema di approfondimento del giudice in sede di valutazione del quantum della pena. A questo si aggiunga che una certa “sanità” è ben felice di scaricare sulla Polizia il compito coercitivo, senza tentare, come è doveroso avvenga, una procedura che accolga il paziente a partire dal colloquio finalizzato al recupero del consenso, tentativo che non deve essere mai abbandonato a meno che la patologia già non dica il contrario.
Se, dunque, non si opera tutti quel salto di qualità, iniziato con la Riforma Basaglia, rimuovendo i pregiudizi che impediscono di guardare alla persona come malata, si correrà il rischio di applicare procedure di base connotate da un’impronta giudiziaria come non deve essere. Invero, nel contesto del Trattamento Sanitario Obbligatorio, o ASO, la Polizia è chiamata ad accertare l’esecuzione del TSO nell’aspetto di garanzia dei diritti del Malato e secondo i dettami normativi: che il TSO si sia validamente formato (proposta e convalida presenti in allegato e firma dell’Autorità Sanitaria Locale/Sindaco), avvenuto trattamento, che si conclude per la Polizia Locale con l’accertamento circa il raggiungimento da parte del malato del reparto di Psichiatria, e notifica al Giudice Tutelare di quanto sopra.
Se nella fase del colloquio clinico, lo Psichiatra, i sanitari, paramedici, e chiunque sia presente siano messi in pericolo dall’aggressività, in presenza di una minaccia e pericolo reale e attuale, la Polizia deve procedere al contenimento fisico del soggetto in ausilio al contenimento sanitario, ma resta a cura del medico comprendere ed attuare tutto ciò che è a beneficio della salute del soggetto. L’attività deve rimanere essenzialmente sanitaria, il medico deve valutare le possibili conseguenze sulla salute del soggetto, aggiungendo al vocabolario di tutti la parola DESISTERE qualora la salute del suo paziente possa essere seriamente compromessa.
In conclusione il TSO e l’ASO sono attività sanitarie, i sanitari sono in grado di attuare quello che in gergo medico si chiama “Protocollo di Emergenza Psichiatrica” dove ad agire è il personale medico che conosce tale procedura e che rimanda ad una presenza della Polizia Locale a garanzia del malato, ricordando che il carattere provvedimentale dell’atto TSO, di natura amministrativa, che pur incidendo sui diritti soggettivi del malato, di fatto l’unico aspetto di cui ci si deve curare è la LEGITTIMITA’ dell’ATTO, ovvero che si sia legittimamente formato, non a caso il Giudice Tutelare potrebbe anche non convalidare.
Eccezionalmente potrebbe divenire un’attività di polizia, che si innescherebbe solo quando si verifichi la condizione di minaccia all’incolumità dei presenti o dello stesso individuo. Non avrebbe senso, infatti, una prassi che conduca alla situazione che per curare un malato di mente si arrivi a mettere in pericolo la sua vita e quella degli altri intervenuti per costringerlo a subire le cure. Questa incoerenza va sanata, perché deriva dal retaggio culturale di matrice manicomiale che vede nel malato psichiatrico un folle e basta. Questo approccio genera ansia e paura in partenza e carica ab origine gli operatori di polizia. Chi scrive non è contro la formazione tecnico operativa, ma non è quello il modo di affrontare la questione TSO implementando l’immagine aggressiva degli operatori di polizia, perchè in questo contesto si ha ad oggetto un malato che ha pensieri disfunzionali che non gli permettono di vivere in armonia con se stesso e con il mondo. Aiutiamolo con le giuste procedure che non mettano in pericolo la sua vita e quella di quanti abbiano a trattarlo obbligatoriamente!
(Protocollo Unico Operativo PUO-TSO NF-DM – ASO-TSO – Lettera-PUO Certificato xPL-Autorità – NF-DM)
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