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“Tecniche del Colloquio di Polizia”: rapporto poliziotto testimone

Come per ogni attività di Polizia Giudiziaria, il ruolo del poliziotto sembrerebbe, a primo impatto, neutro ed ininfluente, specie quando si tratta di adempiere ad atti di natura penale, come nel caso dell’assunzione di informazioni da persone in grado di riferire dall’indiziato e/o indagato (artt. 350-351  C.P.P.). Spesso la terzietà rispetto agli eventi in fase ricostruttiva disegnerebbero un investigatore che con distacco si limiti a raccogliere elementi utili alle indagini, con assoluta asetticità. In realtà non è così, il rapporto che instaura l’operatore di Polizia Giudiziaria con altri soggetti, in fase investigativa, non è affatto ininfluente. In effetti saranno le dinamiche tra questi attori a rendere più difficoltoso o meno il percorso di ricezione delle informazioni da parte della PG., specie sul piano dell’attendibilità delle dichiarazioni rese. Ne deriva che una preparazione tradizionale, di tipo strettamente giuridico, sarebbe insufficiente perché per essere un buon investigatore di polizia non è sufficiente poter sempre contare solo sul proprio intuito e creatività.

Di qui il richiamo ad una precisa tecnica del “colloquio” di polizia che possa supportare l’operatore di polizia a guidare il colloquio evitando di procedere a braccio, in modo che si evitino di commettere errori non voluti, che si sbaglino le domande e che il ricordo testimoniale venga oltremodo falsato! Per questa ragione è estremamente importante che colui che dovrà porre le domande al testimone sappia anche creare le condizioni migliori e più adeguate alla situazione, affinché la persona interrogata sia in grado di effettuare una deposizione la più possibile accurata e completa.

Nell’intervista (“interrogatorio” secondo il c.p.p.) quello che deve emergere sono aspetti legati all’evento, oggettivi ed obiettivi, per ricordare i quali, il testimone, ancor di più se vittima, (esempio un pedone investito gravemente) necessita dell’attivazione della parte destra dell’emisfero cerebrale in quanto la sua attenzione è rivolta maggiormente a realizzare un’introspezione ed un monitoraggio degli stati interni.

Ricordare in un certo senso è un guardarsi dentro perché si attivano immagini ed emozioni.

E allora come stimolare questo emisfero destro, deputato alla rimemorazione? Non occorre essere degli psicologi, perché è facile da comprendersi, è facile da attuare: funzioniamo tutti in egual modo per cui sarà sufficiente riflettere sui nostri propri meccanismi. Essendo necessario stimolare quella parte dell’emisfero cerebrale deputato ai  processi di visualizzazione, non occorrerà altro che concedere del tempo affinché sia possibile visualizzare quelle immagini mentali che, così prodotte, dovrebbero “far rivivere” al testimone, in modo aderente alla realtà, la situazioni che ha sperimentato, a cui ha assistito.

In definitiva è quello che spesso facciamo quando diciamo “fammi fare mente locale”.

Altro elemento ad incidere sulla qualità delle dichiarazioni rese (ricordo) è  l’atteggiamento dell’interrogante. Per l’instaurarsi di un clima di fiducia, necessario a far si che il soggetto da sentire sia collaborativo, dopo, come si è detto, avergli consentito di attingere alla memoria secondo i suoi tempi e abbattendo  in questo modo il rischio che possa essere indotto a falsi ricordi a causa delle pressioni a ricordare, chi procede al “colloquio di polizia” dovrà  anche aver acquisito in sè la consapevolezza del proprio atteggiamento, che normalmente non agisce a livello cosciente. Questa consapevolezza,  allo scopo di evitare che si possano creare situazioni di conflittualità nell’interazione con il testimone, specie qualora l’atteggiamento non sia di tipo assertivo.

L’atteggiamento ideale, infatti, è quello di tipo assertivo, perché solo in questo modo l’investigante sarà in grado di adottare precise scelte comunicative, sia di tipo non verbale che verbale, che  concorreranno a mettere a proprio agio la persona che dovrà essere sentita.

Questa necessità, di mettere il soggetto a suo agio, dipende dal fatto che, sia le emozioni che lo stress, giocano un ruolo importante in ogni tipo di colloquio, ancor di più in quello di polizia,  e già per il solo fatto che l’interrogato si trovi in presenza di un operatore di polizia ed in una sede di polizia che,  il suo stato emotivo, già in partenza è “iper-teso”.

A questo punto si può già immaginare come la situazione, così a priori complessa sotto il profilo psichico, per il  teste che deve “rimemorare”, che non necessita di stress ulteriori, criticità queste, accentuate  se  intervenissero  anche modelli di interrogatori di tipo inquisitorio.

Oltre a lacunose verbalizzazioni, si potrebbero anche avere delle serie difficoltà nelle valutazioni della persona e del riferito in quanto lo stress,  esercitando un’influenza sulla comunicazione interpersonale, farà si che l’eloquio subisca decrementi qualitativi decisamente pesanti: silenzi, balbettamenti, pause ricorrenti,  difficoltà a rispondere a domande anche semplici, preoccupazioni ed ansie evidenti, nervosismo che non potranno non indurre chi interroga a ritenere che il soggetto abbia qualcosa da nascondere.

A questo si aggiunga che il teste può anche diventare aggressivo; l’aggressività nasce, infatti, anche in situazioni in cui si è sulla difensiva, rendendo a sua volta aggressivo chi la subisce,  motivo per il quale, in questo investimento reciproco negativo, non si giungerà affatto ad alcun risultato utile sul piano investigativo. Infatti, la chiusura del teste, la sua diffidenza verso chi interroga, la paura e l’ansia faranno si che poche saranno le informazioni attendibili oltre al rischio di mancata credibilità operata in sintesi dall’interrogante. Dunque, l’interrogante dovrà sforzarsi di scoraggiare gli atteggiamenti negativi (aggressività, superbia…) sia propri che nella persona che ha di fronte, per instillare e rinforzare  sentimenti positivi (fiducia) nel testimone. Anzi, un buon investigatore deve sempre allenarsi a percepire, con finezza psicologica, lo stato emotivo del soggetto che interroga, per poter vagliare e  calibrare al meglio le strategie  investigative di raccoglimento delle informazioni.

Questo è il motivo per cui si raccomanda, nella tecnica del colloquio di polizia, di evitare l’utilizzo, in modo eccessivo, della comunicazione verbale, soprattutto investendo il teste con domande che possono interferire con l’attivazione delle funzioni riflessive del cervello, tipiche di un atteggiamento aggressivo e di un modello di interrogatorio di tipo inquisitorio, perché più le domande sono pressanti e a raffica e più viene inficiato il processo di identificazione oggettiva ed obiettiva dei fatti all’interno del bagaglio mnemonico del testimone,  a discapito del valore dell’attendibilità della testimonianza.  In ultimo, ma non è meno importante, si sottolinea la necessità, da parte dell’operatore di polizia che procede all’interrogatorio di “Investigare prima di Intervistare” ovvero di  conoscere esattamente, e in anticipo, i fatti su cui andrà a sentire il testimone e che dovrebbe avere già a sua disposizione, ma questo sarà l’argomento di un prossimo articolo.

 

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